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Enzo Troiano: un disegnatore postmoderno

Abbiamo intervistato l’autore di Korea 2145, in occasione della pubblicazione del suo ultimo volume: Harcadya Tome 1 - L'isola Mystere, appartenente alla collana Wombat e pubblicato dalla Bottero Edizioni.

 

 

enzo_troiano_picdi Carmine Treanni

 

Enzo Troiano è senza timore di smentita uno dei disegnatori più originali del panorama fumettistico italiano.

Emerso negli anni Novanta - quando creò Engaso 0.220, un fumetto seriale di fantascienza che raccolse intorno a se un manipolo di disegnatori e sceneggiatori divenuti in seguito affermati professionisti -, il disegnatore napoletano, ma originario di Vercelli, ha iniziato la sua carriera tratteggiando caricature per riviste dedicate allo sport. Nel 1995 si classificò al 2° posto al Concorso Nazionale per Fumettisti Esordenti di Prato, facendosi notare sia dal pubblico sia dalla critica.

Una sua storia è apparsa sulla prestigiosa rivista americana Metal Hurlant. Nel 2000, pubblica — su testi di Riccardo Bruno — Berlino 1999 per Eidos Editore e realizza vari libri per la casa editrice l’Isola dei ragazzi. Dal 2004 ha iniziato a collaborare con la casa editrice Albatros, di cui sono usciti i volumi Korea 2145 (2005), Lufer (2006) e Eracle 91 (2007), storie a metà tra la fantascienza ed il fantasy. Nel 2005 ha vinto il premio come disegnatore rivelazione dell’anno con Korea 2145 al Premio “Carlo Boscarato” di Treviso.

Attualmente, la Cagliostro E-Press sta ripubblicando in ordine cronologico tutte le storie di Engaso 0.220, compresi alcuni inediti ed è da poco uscito il suo ultimo lavoro: Harcadya Tome 1 - L'isola Mystere (formato 24,3x31,9, C, 72 pp, col., € 12,00), appartenente alla collana Wombat e pubblicato dalla Bottero Edizioni.

Harcadya è la storia del giovane Ryuga che decide di esplorare la vicina isola Mystere. Ryuga scoprirà verità su se stesso e su gli altri e compirà un viaggio con altri tre abitanti dell'isola Harcadya da cui scaturiranno un insieme di eventi che porteranno il giovane a fare tutta una serie di inquietanti scoperte.

Abbiamo intervistato Enzo Troiano per parlare di questo suo ultimo lavoro, ma anche di quali sono le sue fonti d’ispirazione come disegnatore che non esitiamo a definire postmoderno, per la contaminazione che sa infondere sia nelle storie sia nei disegni che realizza.

 

Come è nata la storia di Harcadya?

 

Harcadya è nata grazie a tre fonti d’ispirazione. La prima è stata il mio interesse per la storia con la Sharcadya maiuscola e per le varianti che ne ha fatto la fiction letteraria e non solo, come l’Ucronia e la fantapolitica. Nel leggere di questi argomenti ho notato che la storia dell’Uomo è ricca di episodi oscuri, di misteri mai chiariti fino in fondo, spesso con protagoniste anche delle sette sataniche. Una seconda fonte è stato il bombardamento mediatico che c’è stato, in questi ultimi tempi, intorno alla fine del mondo, che avrebbe una data precisa: il 2012. Infine, Nausicaa di Hayao Miyazaki, che per me è un capolavoro assoluto, è stata una rivelazione quando l’ho letto. Miyazaki immagina un mondo post-apocalittico, dove c’è al potere chi ha causato la distruzione di tutto. Una vera e propria dinastia, che il grande autore giapponese immagina di stampo massonico. Ho unito questi elementi ed è nata la storia di Harcadya, omaggiando indirettamente proprio Miyazaki. Ovviamente ogni storia parte sempre da un eroe che in Harcadya è Ryuga.

 

A proposito degli eroi dei tuoi fumetti, spesso graficamente si assomigliano e una caratteristica che hanno in comune è che tutti hanno i capelli lunghi. Come mai questa scelta?

 

È vero. Mi piace disegnare i miei eroi con i capelli lunghi, perché danno l’immagine di un uomo libero, anticonformista, che non cura la sua immagine perché bada alla sostanza delle cose.

 

In Harcadya c’è la contrapposizione fra due mondi: l’isola dove vive Ryuga, che ha raggiunto un suo equilibrio, ed il mondo fuori Harcadya, che è governato da appartenenti ad una setta e dove c’è una società in guerra. Ryuga esce dal suo mondo ovattato alla ricerca della conoscenza. Si può dire che Harcadya è anche un romanzo di formazione?

 

Si, senza dubbio si può dare questa lettura della storia. Aggiungerei che si tratta anche di un aspetto autobiografico. Ho avuto la fortuna di viaggiare molto e quando incontri altre culture, anche molto diverse dalla tua, ti rendi conto che i valori con cui sei cresciuto diventano relativi. Ryuga, nel lasciare il suo mondo, crescerà. Credo anche che in un percorso di crescita è insito, in qualche modo, un bisogno di rinascere più volte, di non restare ancorati alle certezze della propria vita. In Harcadya, ho voluto, per la prima volta, tratteggiare un personaggio che inizialmente apparisse agli occhi dei lettori negativo, nel senso che è superficiale semplicemente perché è ignorante, non ha visto nulla oltre la sua isola. La sua crescita avverrà anche grazie al padre, di cui inizialmente non capirà perché lo ha abbandonato. La verità emerge anche nel confronto con gli altri.

 

harcadya_tavolaTu immagini un futuro in cui l’umanità si è sfaldata e non si capisce bene in quale parte del mondo è collocata la tua storia. Però, in una tavola s’intravede la statua della Libertà. Quale significato ha quel simbolo nella storia?

 

In realtà la storia, anche se da questo primo volume non è chiaro, è in un territorio molto vicino a Napoli. Nel secondo volume, ci saranno dei riferimenti molto più chiari. La mia è una scelta provocatoria, non campanilistica, nel senso che volevo trasmettere il concetto che città come Napoli, New York o Bagdad non appartengono ai napoletani, ai newyorchesi e agli iracheni, ma appartengono a tutti. I confini sono solo limiti che s’impongono gli esseri umani. Quando viene distrutta una città come Bagdad dovrebbe interessare e dispiacere tutti. La statua della libertà ha due significati: il primo è che essa rappresenta la libertà per l’America. Però guarda caso gli Stati Uniti sono il paese che dalla Guerra d’Indipendenza è sempre in guerra e passa per la più grande democrazia del mondo. La libertà è imposta con le armi. Ecco perché ho inserito quell’immagine della statua della libertà, come simbolo di una dinastia di guerrafondai e che appartengono ad una setta satanica. La Statua della Libertà è Serapide, una dea che adoravano i babilonesi. Infatti, leggenda vuole che le dinastie che governano il mondo sono quelle che originariamente erano proprio babilonesi. Nel fumetto immagino che nel 2012 il mondo sia stato distrutto proprio da questa setta satanica.

 

Le ambientazioni delle tue storie sono sempre in bilico fra due generi narrativi: la fantascienza e il fantasy. Mi sembra una straordinaria caratteristica del tuo modo di creare storie, personaggi, creature fantastiche ed ambientazioni che in qualche modo mi richiamano alla mente l’immaginario delle storie pulp d’inizio secolo. Penso, ad esempio, a Lovecraft che crea creature che sono allo stesso tempo divine ed aliene…

 

L’amalgama degli elementi di fantascienza e fantasy mi consente, innanzitutto, di poter presentare i personaggi femminili delle miste storie con abiti molto succinti. Non è mia intenzione usare la donna come oggetto, funzione che spesso viene fatta in televisione, ma perché ritengo la donna è – non solo – più sensibile dell’uomo, ma dal punto di vista fisico è un miracolo. Mentre l’uomo è perfetto dal punto di vista geometrico, la donna è tutta curve, ma è molto più bella dell’uomo. La donna, poi, ha una carica sessuale che l’uomo non ha. Mi piace esprimere questa carica sessuale disegnando i personaggi femminili nelle mie storie, ma come sincero omaggio alla donna. Quando veniva accusato di usare il corpo femminile nei suoi film, Pasolini rispondeva che intendeva esaltare l’erotismo della donna. Il fantasy mi permette, poi, di usare delle tecnologie più estreme e malleabili rispetto al rigore che invece è tipico della fantascienza. Così come il connubio fra i generi mi è utile per creare dei mondi alternativi e, spero, in qualche modo unici.

 

Le tue precedenti storie sono state pubblicate dalla Albatros, mentre Harcadya è pubblicata dalla Bottero Edizioni. I tuoi volumi però fanno tutti parte della collana Wombat che è un progetto culturale nato in collaborazione con Luca Presicce. Ce ne vuoi parlare?

 

La collana Wombatt è stata creata da me e da Luca Presicce ed era nata all’interno dell’Albatros per dividerla dalle pubblicazioni scolastiche della casa editrice. Il progetto ha poi attirato altri autori e credo che la collana sia, oggi, la più innovativa all’interno del panorama editoriale del fumetto italiano. La collana ha pubblicato: Gianmaria Troiano, che è mio fratello, che ha vinto il concorso a Prato a sedici anni, risultando essere il più giovane; Marco Cito, che quest’anno ha vinto il Lucca Contest; Danilo Antonucci che è considerato uno dei migliori autori emergenti. Ancora, ha pubblicato Francesco Graziani che oggi è copertinista della Mondadori. La collana Wombat ha dato spazio a giovani disegnatori come poche altre realtà. In pratica, produce fumetti e poi li propone a varie case editrici.

 

I tuoi esordi come disegnatore ti hanno visto realizzare vignette e caricature per quotidiani ekorea riviste sportive. Che tipo di esperienza è stata quella di immortalare sulla carta personaggi sportivi come Maradona?

 

All’inizio della mia carriera di fumettista, in realtà non sapevo se fare il vignettista o il disegnatore di fumetti più classici. Pertanto cominciai con disegni di caricature e moviole di calcio (di cui da giovane ero un grande appassionato). All’epoca, con l’avvento di Maradona a Napoli, era soprattutto in questo campo che si riusciva a trovare lavoro. Quindi fra caricature e disegni di moviole dei goal, ho lavorato molto divertendomi tanto e disegnando spesso il mio idolo Diego Armando, in assoluto il più grande di tutti i tempi. Un Mozart del calcio, un vero artista. Questo mi ha dato modo di conoscere tanti bravi e noti giornalisti sportivi (Prestisimone, Romano, Carratelli) anche se mi rimane il rammarico, che avrei potuto lavorare molto di più ed a molte più cose. 

 

Alessandro Bottero, in un editoriale su Fumetto d’Autore, ti ha inserito in una lista di autori invisibili, cioè di autori che a suo dire meriterebbero molta pi attenzione e fama dal mondo del fumetto per ciò che esprimete con le vostre storie. Ti senti un invisibile?

 

Ho condiviso in parte le riflessioni di Alessandro. Personalmente non ho mai avuto la presunzione di sentirmi arrivato. Bottero non ha torto quando mi definisce invisibile, però penso che in realtà cercano di farmi diventare invisibile, ma di fatto non lo sono, perché ho vinto vari premi, tra cui Il Boscarato, pubblico regolarmente in Inghilterra e da lì in altri paesi. Dove, invece, mi sembra che Bottero abbia centrato la questione è relativamente al fatto che a un autore come me non viene riconosciuto il valore che ha. La storia del fumetto, del cinema, dell’arte è piena di personaggi che hanno fatto o detto cose scomode o che hanno scelto strade diverse per imporsi come artista e non quelle convenzionali, e per questo sono in qualche modo osteggiati. Quella di Bottero è comunque una provocazione intelligente.

 

In molti tuoi lavori, penso a Korea 2145 o a Lufer, la contaminazione fra le tue passioni come lettore e spettatore si fondono con la tua sensibilità artistica. In Lufer, ad esempio, ci sono citazioni ad un telefilm come Stursky e Hutch, ma si sente anche l’influenza di manga ed anime giapponesi. Trovo questo processo creativo molto postmoderno, ma mi chiedo e ti chiedo: è consapevole o no?

 

È assolutamente un processo consapevole. Mi piace omaggiare con una citazione chi, fra i grandi del fumetto mondiale, mi ha stimolato a fare il disegnatore, ma mi piace inserire tutto ciò – al di là del fumetto – che mi ha stimolato come spettatore. Non c’è dubbio che mi ha molto influenzato Hayao Miyazaki, ma anche il cinema di Billy Wilder, serie televisive come Stursky e Hutch.

 

Dietro i tuoi lavori, soprattutto quelli più recenti, c’è un grande lavoro di documentazione preparazione, sia per quanto riguarda le sceneggiature sia per i disegni. Quanto è importante questa fase per te?

 

Fondamentale! Prima di iniziare un fumetto, passo un mese e più per la sua preparazione. Ma la ricerca e la documentazione continua per tutto il processo lavorativo. Io sono un autore in perenne cammino e sempre alla ricerca di modi per perfezionarsi.

 

engasoQuali sono i tuoi punti di riferimento nel fumetto mondiale e che tipo di storie di fumetti ti piace leggere?

 

Domanda difficilissima. Potrei dire Frazetta, Liberatore, Castellini, Tetsuo Hara, Uderzo, Otomo, Miyazaki, ma sarebbe riduttivo. Mi piacciono, infatti, tanto Bonvi (Nick Carter) Bruno Bozzetto, Calvin e Hobbes, Luky Luke, Snoopy e Charlie Brown. Quello che posso dirti e che in assoluto, oggi, i Giapponesi con la loro straordinaria animazione rappresentano per me il Top: capolavori come “Akira”, “Le ali di Honneamyse”, “Cow boy bebop”,  “Il castello errante di Howl”, “Venus Wars” ecc. rappresentano costanti riferimenti per i miei lavori.

 

Com’è mai questa predilezione per i grandi maestri giapponesi del fumetto e dell’animazione, oltre in generale alla cultura del Sol Levante?

 

I giapponesi hanno per molto tempo avuto l’umiltà di carpire ed osservare la cultura occidentale e solo dopo hanno rielaborato quest’immaginario di cui si sono nutriti e hanno proposto un loro personale universo artistico. Oggi, credo che tanti disegnatori e cineasti giapponesi sono avanti anni luce rispetto ai loro contemporanei dell’Occidente. Sul fronte dei videogiochi, ad esempio, sono all’avanguardia. Sono affascinato dal loro modo di lavorare e dal fatto che sono umili nel presentare i loro lavori. Se ascolti delle interviste di Hayao Miyazaki o di Satoshi Kon ti rendi conto che la loro bravura è pari alla loro umiltà. Per me sono, in assoluto, la mia principale fonte d’ispirazione.

 

Come disegnatore ti sei espresso sia con il bianco e nero sia con il colore e in alcuni casi hai usato anche il computer per la colorazione. Che tipo di tecnica ami più di ogni altra?

 

Tutte senza distinzione. Sono una perenne fonte di emozioni e ricerca.

 

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