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Il Duce gradiva solo il camerata Topolino

eccettotopolinoIn occasione dell'assegnazione al volume "Eccetto Topolino" (di Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama - Nicola Pesce Editore) del prestigioso Premio Fossati - l’unico concorso nazionale che premia opere di critica e saggistica sul fumetto realizzata da autori italiani -, avvenuta il 22 luglio nella cornice di Rimini Comix, vi proponiamo questo articolo apparso sul quotidiano Libero il 14 marzo 2012. Per gentile concessione dell'autore. Di "Eccetto Topolino" avevamo già parlato anche QUI

di Giuseppe Pollicelli

Quella dell’editoria a fumetti italiana è, in gran parte, una storia ancora da scrivere. A fare luce su un capitolo importante di questa storia, ovvero sui giornali a fumetti pubblicati durante la dittatura mussoliniana, provvede ora Eccetto Topolino. Lo scontro culturale tra fascismo e fumetti (Nicola Pesce Editore, pp. 432, euro 35), un ponderoso saggio curato da Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama. Il volume è il frutto di un lungo e scrupoloso lavoro consistito in due attività: il vaglio delle testate a fumetti edite fra il 1932 (anno di uscita del settimanale «Jumbo») e la fine del regime, e lo spoglio degli archivi personali di Guglielmo Emanuel, agente italiano del King Features Syndicate, e di Federico Pedrocchi, figura di spicco della casa editrice facente capo ad Arnoldo Mondadori.

Se il testo prende le mosse dal settimanale «Jumbo» (pubblicato dall’editore milanese Lotario Vecchi) è perché la comparsa di questa rivista segna l’arrivo, in Italia, del fumetto d’avventura. Fino a quel momento i lettori italiani hanno conosciuto anche fumetti realizzati al di fuori dei confini patrii, ma si tratta esclusivamente di opere comiche e umoristiche, mentre «Jumbo» propone serie britanniche di impianto realistico come “Rob the Rover” di Walter Booth, autarchicamente ribattezzata “Lucio l’avanguardista”. L’iniziativa di Vecchi dà avvio, senza volerlo, a quella che gli autori di “Eccetto Topolino” chiamano comics craze, un vero e proprio innamoramento collettivo per i fumetti statunitensi (cui quelli inglesi di «Jumbo» fanno da involontario apripista). Assieme ai già citati Lotario Vecchi e Arnoldo Mondadori, la personalità di maggiore rilievo dell’editoria fumettistica del Ventennio è Mario Nerbini, editore fiorentino fedelissimo del regime. Oltre a dare alle stampe, nel dicembre del 1932 (pochi giorni dopo l’uscita di «Jumbo»), un periodico intitolato a Topolino, Nerbini lancia nel 1934 il rivoluzionario «L’Avventuroso», un settimanale su cui trovano ospitalità i più grandi eroi del fumetto d’avventura made in Usa, da Flash Gordon a Mandrake passando per Phantom e Jungle Jim. «L’Avventuroso» ha un impatto sconvolgente: innalza il target di età dei lettori di fumetti e arriva a vendere 500.000 copie a numero, generando sia testate “minori” che supplementi. Tutti i personaggi americani presenti su «L’Avventuroso», al pari di quelli della Disney, sono gestiti dal KFS, il King Features Syndicate, agenzia statunitense che, come detto, era rappresentata in Italia da Guglielmo Emanuel, un liberale nient’affatto simpatizzante del fascismo il quale, nel dopoguerra, diverrà anche direttore del «Corriere della Sera». In ragione del ruolo da lui ricoperto, Emanuel si trova nella singolare condizione di fare da interlocutore a tutti i principali editori di fumetti italiani: Vecchi, Nerbini e Mondadori. Dalla disamina del suo archivio, emerge come l’agente cerchi di non favorire nessuno dei tre clienti a scapito degli altri due, ma nel 1935 accade un fatto destinato ad alterare gli equilibri. In seguito al consolidarsi dei rapporti personali tra la Disney e la Mondadori, e con la probabile mediazione dello stesso Emanuel, le licenze relative allo sfruttamento di Topolino e soci vengono concesse in esclusiva alla Mondadori. Per Nerbini è un duro colpo, che l’editore fiorentino riesce provvisoriamente a parare grazie ai suoi amatissimi eroi avventurosi (Vecchi, al contrario, comincia a uscire di scena). Nel 1938 tuttavia si verifica un evento che, lasciando in piedi la sola Mondadori, crea le premesse (assieme ad altre cause tra cui il fatto che la Mondadori avesse coltivato già a partire dal 1937, grazie soprattutto a Federico Pedrocchi, una leva di abili fumettisti italiani) affinché quella milanese diventi la più grande casa editrice italiana, di fumetti e non solo. Per iniziativa del ministro Dino Alfieri, il MinCulPop impone che dai settimanali e dagli albi a fumetti sia eliminato tutto il materiale d’importazione americana, senza distinzioni, pena la soppressione d’ufficio. «L’influenza di Joseph Goebbels, abile ministro della Propaganda del Reich», scrivono Gadducci, Gori e Lama, «si fa probabilmente sentire in modo pesante su Mussolini e Alfieri (...).La soggezione e il senso d’inferiorità dei fascisti nei confronti degli alleati d’Oltralpe fanno il gioco dei gruppi di pressione, che battono senza tregua sul ministero italiano».

I fumetti disneyani, e solo questi, vengono però inspiegabilmente salvati dal bando. Come poté accadere? Da una parte può aver influito il sicuro apprezzamento per la produzione Disney da parte dei figli del Duce e di Mussolini medesimo ma, più plausibilmente, a garantire un simile trattamento di favore furono un’abile attività diplomatica svolta da Mondadori e il particolare che quest’ultimo fosse, di fatto, l’editore di quasi tutte le pubblicazioni ufficiali del Partito Nazionale Fascista. A fronte di ciò, a nulla valse la convinta adesione al fascismo di Mario Nerbini, il quale, privato dei suoi personaggi di punta, cadde progressivamente in disgrazia fino a cedere «L’Avventuroso», nel 1943, proprio a Mondadori.

Se è consolante, a tanti anni di distanza da questi avvenimenti, che i nomi dei censori siano caduti nel più completo dimenticatoio mentre è ancora ben viva la memoria dei vari Flash Gordon e Mandrake, i fatti così accuratamente ricostruiti da “Eccetto Topolino” evidenziano, una volta di più, quanto la pratica della censura sia spregevole e dannosa. Sempre e comunque.

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