- Categoria: Critica d'Autore
- Scritto da Giuseppe Pollicelli
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La Tunuè racconta il cinema di animazione giapponese alla sfida della globalizzazione
di Giuseppe Pollicelli*
Non è vero che non esistono più gli eruditi, quegli studiosi che all’oggetto del loro interesse si dedicano con un fervore e un’applicazione tali da generare opere la cui stesura marca nettamente un «prima» e un «dopo». Opere immense e in un certo senso «folli», che aspirano a «dire tutto», come Le vite del Vasari, la Storia di Roma di Mommsen o il vocabolario greco-italiano di Rocci. Oggi, però, la frantumazione del sapere (fenomeno consolidatosi nel XX secolo e divenuto inarginabile con l’avvento della globalizzazione) produce eruditi in ambiti differenti da quelli della cultura classica e accademica: ambiti addirittura inediti, almeno fino a qualche decennio fa, e per questo ancora in larga misura vergini, dunque in attesa di venire esplorati, descritti, spiegati.
È sicuramente un’erudizione da cui si rischia di rimanere soggiogati quella che Guido Tavassi, avvocato 45enne di Pozzuoli, sfoggia nel suo imponente saggio Storia del cinema d’animazione giapponese. Autori, arte, industria, successo dal 1917 a oggi (Ed. Tunué, pp. 608, euro 24). La messe strabiliante di informazioni che il volume contiene, e da cui emerge una conoscenza eccezionale non soltanto dell’animazione giapponese ma tout court della cultura e della storia nipponiche, non lascia dubbi sul fatto che ci si trovi dinnanzi a un «libro della vita», a un lavoro in cui confluiscono non solo gli studi e le passioni personali ma le riflessioni, i pensieri e persino le ossessioni di un’intera esistenza.
Nel compilare il suo lavoro, Tavassi si è proposto di indagare l’animazione giapponese in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi formati, garantendo pari attenzione - a differenza di quanto fatto dagli altri saggi sull’argomento, pur pregevoli, usciti finora in Italia - alla produzione commerciale e a quella indipendente e d’essai. A una lunga prima parte introduttiva, necessaria - come chiarisce l’autore - per fornire gli strumenti grazie a cui «addentrarsi nella storia dell’animazione giapponese con le dovute cognizioni di base», ne segue una seconda che ripercorre le fasi più rilevanti della storia del cinema animato nipponico attenendosi a un ordine strettamente cronologico. Curato con certosina attenzione e con la consueta competenza dal sociologo Marco Pellitteri (che ne ha anche firmato un capitolo, quello sul boom dell’animazione commerciale giapponese in Occidente nel periodo 1978-1984), il saggio di Tavassi è arricchito da numerose illustrazioni in bianco e nero (ma ve ne sono anche diverse a colori, ospitate da un apposito inserto di 16 pagine in carta patinata collocato al centro del volume) e da alcune preziose appendici: grafici e schemi sulla struttura dell’industria dell’animazione nipponica e sul numero di opere animate prodotte in Giappone dal 1958 a oggi; un’ampia bibliografia accompagnata da un elenco di siti Internet tematici; un prezioso indice finale delle opere e dei nomi citati.
Impossibile tentare una sintesi anche solo approssimativa dei dati e delle osservazioni presenti nel libro: basti sapere che, se lo studioso più esigente potrà interessarsi ai dibattiti storiografici di cui il testo dà conto, come quello relativo alla genesi dell’animazione giapponese (vi è una scuola di pensiero, minoritaria, la quale sostiene che si sia sviluppata autonomamente nei primissimi anni del Novecento, mentre l’ipotesi più accreditata è che abbia avuto inizio a partire dal 1917, dopo la proiezione in Giappone di animazioni occidentali), il semplice appassionato di anime - contrazione del vocabolo giapponese «animêshon», traslitterazione dell’inglese «animation» - avrà modo di approfondire la conoscenza di saghe, caratteri e artisti provenienti dal mondo della tv e popolari dappertutto: dal geniale animatore e fumettista Osamu Tezuka, soprannominato «il dio dei manga» (manga è il termine con cui in Giappone vengono chiamati i fumetti), a Gō Nagai (papà dei robot più famosi del mondo: Mazinga, Goldrake e Jeeg), passando per star internazionali come il regista Hayao Miyazaki e - per citare qualche personaggio - beniamini del pubblico quali Lupin III, Lady Oscar e Dragon Ball.
Nelle ultime pagine del saggio, Tavassi formula delle considerazioni che meritano di essere meditate: «Tornando alla competizione con gli altri Paesi asiatici che si stanno affacciando sul mercato del cinema d’animazione, Cina in testa, si è detto come la rincorsa del massimo profitto stia rischiando seriamente di compromettere l’identità di quello che alla fine è pur sempre un prodotto culturale», scrive l’autore. Che conclude: «L’appalto sistematico di gran parte della lavorazione all’estero non solo sta distruggendo il tessuto produttivo nazionale del Giappone, compromettendo irreparabilmente la professionalità dei giovani animatori nipponici, ma alla lunga porterà a modificazioni estetiche e di contenuto, con una progressiva perdita di specificità». Ancora una volta entra in gioco la globalizzazione evocata all’inizio di questo articolo: per mostrare, stavolta, il suo volto peggiore.
*Articolo pubblicato originariamente su "Libero" del 5 gennaio 2013. Per gentile concessione dell'Autore.