- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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RECENSIONE TEX INEDITO NUMERO 690: "LE SCHIAVE DEL MESSICO"
Hola, compadres!
Siete pronti per una trasferta oltre confine?
Per ogni viaggio che preveda una permanenza, non importa se lunga o di breve durata, nei territori al di là del Rio Grande, occorre avere le borracce ben piene d'acqua, non commettete la leggerezza di riempirne una di torcibudella perché potrebbe essere il vostro ultimo errore in questa valle di lacrime, ed inoltre nelle vostre sacche da sella non dovrebbero mai mancare pemmicam (la carne essiccata che ogni cowboy degno di questo nome e soprattutto dai denti buoni conosce ed impara ad apprezzare), caffè, unguento per le insolazioni (a me lo ha passato Tex in persona, in una delle sue soste qui al Trading Post: un barattolino fornitogli direttamente da quel vecchio stregone di Nuvola Rossa, lo sciamano del villaggio centrale della Riserva, e pare che faccia miracoli) senza dimenticare un'abbondante scorta di munizioni.
Bravi, lo avete già capito, di solito quando i Pards si trovano in Messico non è certamente per una vacanza. Che si tratti di un motivo legato all'imperversare di una banda di desperados o di predoni indiani oppure ad una missione speciale assegnata loro dal comando del Corpo dei Rangers, che avvenga per difendere i diritti dei Navajos o in qualità di rappresentanti della legge anche se forse dovremmo dire della giustizia dal momento che ufficialmente le patacche di Tex e Carson non hanno valore legale in terra messicana, possiamo star certi che gli avvoltoi rischiano un'indigestione o i becchini l'esaurimento nervoso per l'eccessiva mole di lavoro nel caso l'indagine porti a visitare un villaggio nel quale i soliti brutti ceffi dal sombrero enorme ma dal cervello minuscolo fanno lo sbaglio di attaccare “quei gringos di passaggio” convinti di avere gioco facile perché gli avversari “sono solo in due”.
Ed in questa vicenda di ottimisti del genere ne troveremo parecchi.
Mettendo insieme un paio di indizi forniti dalla fabbrica di acquolina in bocca che è il trailer presente in seconda copertina nel numero scorso, insieme alla avvincente cover firmata come al solito dall'immenso Villa, talmente coinvolgente da farci quasi accostare allo scaffale dell'edicola con passo felpato per non correre il rischio di tradire la presenza dei Nostri, visibilmente in una situazione alquanto delicata, ci appare subito chiaro che avremo a che fare con una dannata banda di sfruttatori di innocenti, nello specifico (e continuo a non anticiparvi nulla che già non sappiate) donne.
Credetemi, stavolta è molto complicato continuare la nostra consueta chiacchierata senza svelarvi alcun colpo di scena né dettaglio che possa rovinarvi la lettura, per quanto probabilmente molti di voi avranno non solo già letto ma proprio mandato a memoria quest'albo, visto che è stato presentato in una stupenda uscita variant a Cartoomics a Milano, ormai un mesetto fa, ma farò del mio meglio.
E lasciatemi dire che proprio nell'edizione variant sta ciò che rende unico questo appuntamento con la Leggenda: chiunque di voi abbia messo mano alla versione alternativa a quella “regular” da edicola sono certo che concorderà con me quando affermo che la copertina “con sorpresa” realizzata da un Piccinelli, come dicono alcuni critici cinematografici nei confronti di un attore che si è distinto particolarmente nella sua performance, in uno stato di grazia, è talmente accattivante che riesce sostanzialmente quasi ad eclissare la storia in sé. Una cover sotto la cover è ciò che fa esclamare “che mi venga un colpo” quando sfogliate l'edizione apparsa all'evento milanese, talmente ben celata da arrivare ad una prima occhiata perfino ad ingannare un lettore poco attento.
Ed in effetti il colpo sembra raggiungere chi “trova” il tesoro nascosto infatti è quasi istintivo compiere un impercettibile scarto di lato (impercettibile al fine di non apparire dei pazzi furiosi agli occhi dell'edicolante e di eventuali altri clienti non texiani, perché loro non capirebbero) e schivare un certo proiettile.
La copertina ad opera di Villa diventa in questo caso la quarta, quindi non si perde il piacere di ammirare anche la sua arte. In pratica senza neanche andare a mettere il naso tra le tavole, ci sarebbe già di che imbustare il volume per conservarlo nel tempo.
Effettivamente però qualche nota dolente salta all'occhio quando, dopo esserci ripresi dalle emozioni “dell'involucro”, ci immergiamo nella lettura.
I disegni sono opera di Giuseppe Prisco, al suo esordio sulle pagine di Tex ma noto ai lettori bonelliani per i suoi lavori su Zagor. Ogni texiano con l'occhio allenato non farà fatica, sfogliando l'albo, ad identificare i due maestri ai quali l'artista si è ispirato per definire le caratteristiche principali dei protagonisti: come per sua stessa ammissione in una recente intervista, Prisco ha considerato il tratto di Ticci un modello a cui guardare ma non mancano riferimenti anche abbastanza diretti allo stile del grande Fusco. Effettivamente in almeno un paio di tavole i rimandi a precise tavole proprio del compianto artista sono relativamente chiari. Nello specifico, scommetto che a molti di voi verranno in mente alcune scene di “Moctezuma!”, un capolavoro racchiuso in una storia autoconclusiva firmato dalla coppia Nizzi-Fusco.
Personalmente ho identificato, qualcuno potrebbe dire “malignamente”, due punti dove questi riferimenti sono a mio parere manifesti: in una tavola il primo piano di Tex richiama quello che anch'io avevo disegnato come tributo per la recensione proprio della storia che ho appena citato mentre verso la conclusione dell'albo una tavola riprende passo dopo passo un momento che troviamo sempre in “Moctezuma!”.
E' necessario sottolineare che probabilmente per ogni disegnatore, vedersi affidata la realizzazione di una storia di Tex rappresenta non solamente un traguardo per la propria carriera ma una vera e propria sfida che porta con sé un grosso carico emotivo, indipendentemente dall'esperienza che si può avere nel mondo delle nuvole parlanti.
In più di un'occasione ci è capitato di notare come l'emozione degli autori trasparisse dal loro tratto ed a mio parere è ciò che accade anche in questo caso. La umanissima e comprensibile trepidazione unita agli stretti tempi di produzione che non permettono, forse, una preparazione lunga o del tutto accurata, credo siano tra le principali cause a cui imputare un paio di sviste nelle quali il disegnatore è incappato nella realizzazione dell'albo che analizziamo oggi.
Ormai mi conoscete bene e sapete che non sono uno a cui piace parlare solamente per cambiare aria alla bocca e men che meno faccio parte della schiera di coloro che criticano il lavoro altrui tanto per fare sensazione o perché non sono mai contenti, ma effettivamente non posso dire in tutta sincerità che queste “sviste” siano di poco conto.
Sono rimasto piuttosto perplesso per via di una certa confusione che si crea durante almeno due sparatorie: in una risulta, quantomeno per me, non sempre lineare distinguere gli appartenenti alle parti in causa mentre in un'altra traspare in modo abbastanza evidente quella sensazione che molti lettori hanno provato in passato, vale a dire il modo sbrigativo di “chiudere la faccenda” trovandosi con un finale che avrebbe potuto essere sviluppato con meno rapidità, anche per rendere maggiormente giustizia alla sceneggiatura ad opera del sempre più prolifico Ruju, la quale si snoda in un susseguirsi di roventi scambi di opinioni e tremende botte sulla zucca dei cattivi così incalzante da non farci staccare dalla poltrona prima di aver raggiunto la fine della storia.
Se farete attenzione durante la lettura vi accorgerete ad esempio che uno dei bandidos che stava prendendo di mira Tex in una vignetta, nella tavola successiva sparisce, ma non perché il Ranger o Carson gli abbiano regalato un biglietto di sola andata per l'altro mondo. Semplicemente non compare più “nell'inquadratura”. Inoltre lo stesso Carson assume un comportamento alquanto strano per chi sa di che pasta è fatto il vecchio ranger, visto che perfino noi che siamo semplici cowboys se ci trovassimo nella sua stessa situazione ci vedremmo istintivamente costretti a dar voce alla sputafuoco scaricandola contro gli assalitori invece di sgolarci incitando il nostro pard a “fare in fretta e mettersi al riparo”.
Un sorriso tra l'ironico ed il divertito compare sul nostro volto quando ci accorgiamo che viene riproposto un tipico clichè da film d'azione: avete presente la classica camminata del protagonista che lentamente, magari in slow motion, si muove avvicinandosi alla telecamera e poi improvvisamente alle sue spalle si scatena un'esplosione distruggendo il luogo del recente scontro? Sono sicuro che avete già identificato la pagina esatta della scena a cui mi riferisco.
La storia narrata in quest'albo è particolare dal momento che si tratta di un volume auto-conclusivo, vale a dire che inizia e finisce nelle 114 pagine che lo costituiscono. Non è la prima volta che ciò accade (ne abbiamo appena nominato uno con le medesime peculiarità), talvolta per occasioni speciali come i classici “numeri cento”, in quel caso tutti a colori, ma sparsi qua e là nella nostra collezione, facendo un rapido esercizio di ginnastica con la memoria ne possiamo trovare diversi. Alcuni sono ormai perle di raro valore grazie anche agli elevatissimi livelli artistici raggiunti dai loro realizzatori.
Ci sarebbe una lista abbastanza corposa di storie con la caratteristica di concludersi in un unico “giornalino” ma non preoccupatevi, non dovrete tirarmi addosso i bicchieri per farmi tagliare corto, farò solo alcuni esempi, citando le avventure che a mio parere hanno dato lustro alla collana pur rimanendo racchiuse in un unico albo. Senza ombra di dubbio vanno nominati Letteri con il suo “Il medaglione spagnolo”, Ticci e Civitelli rispettivamente autori di “A sud di Nogales” (di molti anni fa) o “Vendetta Navajo” e “La morte nera” o l'indimenticabile “Sul sentiero dei ricordi” (anch'esso a colori).
In tempi molto più recenti troviamo “Ricercato vivo o morto” con i disegni di Danubio.
Converrete con me che i livelli raggiunti da questi volumi sono talmente elevati da intimidire chiunque si accinga a ripercorrere le stesse orme. Inoltre anche se noi siamo abituati alla perfezione, non sempre tutte le ciambelle possono uscire con il buco.
In effetti sono rimasto stupito dal fatto che in occasioni passate albi che mi sono sembrati ottimi siano stati pesantemente criticati mentre in merito a questo ho letto parecchi feedback positivi. Intendiamoci, non voglio fare la figura della vecchia comare inacidita, e meno che mai i miei “appunti” sono da considerare sul piano personale né critiche unilaterali, cosa che spesso mi è capitato di veder accadere in giro. Ho come sempre espresso una mia opinione e poiché voglio sempre essere onesto nei vostri confronti e con me stesso non mi sembrava il caso di abbandonarmi a lodi sperticate quando invece ho riserve su alcuni aspetti del volume.
Ad esempio ero decisamente dubbioso anche sulla qualità delle statuette 3D raffiguranti i principali personaggi della saga che da qualche settimana si possono trovare periodicamente in edicola ma dopo aver comprato la prima, anche se (pare fosse stato annunciato ma confesso che mi ero perso la notizia) ha lo stesso stampo di quella statuina dorata presentata a Lucca Comics l'anno scorso, ho dovuto ricredermi: “dal vivo” è molto più apprezzabile e ben fatta di quanto non appaia nei video o nelle foto pubblicitarie, quindi non faccio fatica a cambiare idea quando la situazione lo comporta o ad ammettere che avevo avuto un'impressione errata. Oggettivamente non sono più belle di alcune “action figures” che posseggo ma neanche tremende, se consideriamo inoltre il rapporto qualità-prezzo.
Tornando a parlare della storia, non si può sostenere che nel complesso non sia di pregevole fattura, né possiamo affermare che l'artista non si sia impegnato a fondo nel completarla. Permettetemi di fare un'eccezione e tornare al nostro presente: è un po' come quando si ha a che fare con una fuoriserie nuova fiammante e, se si nota un graffio sulla carrozzeria, quest'ultimo spicca trasformandosi inconsciamente in un difetto enorme che rischia di eclissare il fatto che abbiamo comunque posato gli occhi su qualcosa di bello e prezioso, attirando l'attenzione come il fuoco di un bivacco nella notte. Per quanto i "graffietti" in questo caso specifico siano più di uno.
E' anche umano il fatto che un autore moderno si ispiri a maestri indiscussi per definire il proprio stile, come ad esempio accade per Giovanni Bruzzo, per fare un nome illustre della storia recente, il cui tratto è dichiaratamente ispirato al primo Ticci, sebbene nella sua ultima storia abbia “citato” esplicitamente anche Villa, per quanto riproporre quasi per intero, anche se con qualche accorgimento ed adattate alla propria mano, un notevole numero di vignette possa far comparire per lo meno ogni tanto un certo numero di punti interrogativi sulla zucca di qualche lettore, dal momento che si tratta di professionisti affermati e non disegnatori amatoriali che scarabocchiano per il puro gusto di farlo.
Prima di congedarci, lasciatemi fare una breve digressione: un'osservazione che potrebbe essere considerata un vero modello di “discorso che salta di palo in frasca” ma che come tempistiche si inserisce nella cronologia degli appuntamenti in edicola. Ad Aprile, oltre all'inedito di cui abbiamo parlato finora ed allo spettacolare Maxi di cui parleremo la prossima volta, sono uscite come al solito anche le ristampe Classic, che ripropongono, ormai lo sapete, le prime avventure di Tex e dei nostri pards a colori.
Questa collana è giunta al momento del debutto sulla scena di Piccolo Falco e per tutti i lettori, sia noi che ormai siamo dei veterani sia per le nuove leve, conservare “Il battesimo di fuoco di Kit Willer” nella propria collezione ha senza dubbio il suo perché, rievocando ricordi d'infanzia o permettendo di (ri)scoprire un punto cardine nella vita di Tex e compagni.
Tralasciamo il fatto che continuano le strane correzioni ai testi originali per una non ben precisata politica di adattamento, della quale ci siamo già occupati in passato.
Come sempre la prefazione nei Classic viene curata da Graziano Frediani che abbiamo apprezzato come autore di articoli sul “Magazine” ed in qualche presentazione sui numeri inediti, pur senza notare qualche scivolone. Ci troviamo senz'altro d'accordo con chi scrive quando si parla di una sorta di Moschettieri della Frontiera per identificare i quattro Pards finalmente al completo e facciamo nostre le considerazioni inerenti le apprensioni paterne di Aquila della Notte nei confronti del piccolo terremoto che ha come figlio. In questa occasione vengono anche elencati alcuni “mini-eroi” del Far West che in un'epoca ben precisa, decenni or sono, caratterizzavano un filone editoriale specifico. Il parallelismo con il giovane figlio di Tex è istintivo. Così come corrono alla mente anche alcuni film o libri che trattano delle “imprese” di giovani banditi, uno tra tutti il famigerato Billy the kid.
L'aggrottamento di sopracciglia stavolta è causato dal fatto che il soprannome di William Bonney (per usare il nome indicato nella prefazione, che è solo uno di quelli con cui il pistolero è passato alla storia) viene tradotto, a torto o a ragione, con “Billy il monello”, il che risulta quantomeno insolito considerando che ci sarebbe voluta ben più di una bacchettata sulle mani per raddrizzare quella testa calda dal grilletto fin troppo facile.
Un vero discolaccio, colpevole di molte bravate… calibro 45, però.
D'altra parte anche “Bambino”, il fratello di Trinità-Terence Hill interpretato dal mitico Bud Spencer in lingua originale veniva chiamato Kid, ma nessuno si è mai sognato di prenderlo in giro sul nome, volendo conservare la capacità di masticare.
Perdonate la mia facezia, un modo fin troppo grezzo per strapparvi una risata.
Bueno, buttate giù quello che rimane nei vostri boccali. Si è fatto tardi ed è ormai ora di chiudere. Dopo aver riattraversato il Rio Grande, fortunatamente senza essere inciampati in una pattuglia di Rurales, sarà meglio allungare le ossa e riprendere le forze perché ci aspettano giorni movimentati.
Grazie per essere rimasti ad ascoltarmi anche questa volta, hermanos.
Alla prossima
Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Ruju
Disegni: Giuseppe Prisco
Copertine: Claudio Villa e Alessandro Piccinelli
Lettering: Omar Tuis
114 pagine