- Categoria: Reportage
- Scritto da Camillo Chiarieri
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Analisi » Tex: “L’Eroe è la Leggenda”
di Camillo Chiarieri
Fino a un tempo non molto lontano i lettori acquistavano fumetti con molta naturalezza, per cercare tra le loro pagine intrattenimento, divertimento e un po’ d’avventura; per essere trasportati, almeno per il tempo della lettura, in una foresta tropicale, sulle polverose e assolate piste del West, o in qualsiasi altro luogo nel tempo e nello spazio che facesse dimenticare problemi e contingenze quotidiane. Poi capitava talvolta d’iniziare la lettura di un fumetto a cuor leggero e di trovarsi dopo alcune pagine a proseguirla con uno spirito diverso, coinvolti e commossi, per scoprirsi alla fine almeno un po’ cambiati nell’intimo, nei sentimenti e nei pensieri. Se lo scopo dell’Arte è renderci migliori, accendere dei “fuochi sacri” dentro di noi, allora ogni appassionato di fumetti può citarne un buon numero che per lui valgono quanto i suoi quadri preferiti, i libri del cuore, la musica e i film che appartengono in maniera più stretta e profonda alla sua vita, che hanno modellato in maniera decisa il suo essere e il suo “sentire”. E d’altra parte, aggiungo, quanto più si è “appassionati di fumetti”, tanto più lo si è perché si è avuta la fortuna di imbattersi in maniera frequente in queste letture illuminanti, tanto da giungere alla conclusione che il fumetto sia un mezzo più che consono a portare bellezza, crescita e conoscenza nelle nostre vite: tutte le caratteristiche dell’Arte. Cosa rende diverso un fumetto buon fumetto da un cattivo fumetto? Certamente le capacità tecniche degli autori. Per fare un buon fumetto servono quantomeno un buon soggettista e sceneggiatore e dei buoni disegnatori. Così come per produrre un ottimo fumetto occorrono ottimi autori, che padroneggino alla perfezione il loro mestiere. E cosa ci vuole, beninteso oltre alla tecnica, per fare un fumetto che sia, secondo i canoni che abbiamo descritto nel paragrafo precedente, “Arte”? Ci vuole l’unico elemento di cui l’Arte ha bisogno per dirsi tale: l’Ispirazione. L’autore non si mette a tavolino e studia come fare un’opera d’arte, egli ha qualcosa d’impellente da raccontare, da comunicare: è “ispirato”. Tutto sommato non gli interessa il risultato finale, ma l’esprimere e il raccontare quello che ha dentro.
Per essere concreti, non credo che Pratt non avesse nulla da dire e allora si sia messo a tavolino pensando a come produrre un’opera d’arte e gli sia venuta in mente “Una Ballata del Mare Salato” come un’operazione di marketing, o che Berardi e Milazzo si siano guardati, si siano detti “adesso sforniamo un’opera d’arte” e abbiano scritto “Adah”. Probabilmente queste opere erano già presenti dentro di loro, erano loro stesse che chiedevano in maniera impellente di uscire. Ora, cosa si aspetta un lettore che acquista un fumetto Bonelli? Credo di poter rispondere per l’umanità intera che egli si aspetti un buon/ottimo fumetto fatto da buoni/ottimi professionisti. Capita poi, una tantum, di trovarsi davanti il “capolavoro”, e allora quella particolare storia è destinata a rimanere nel cuore del lettore. Ci si aspetterebbe anche, in un mondo che giri per il verso giusto, che talvolta, di tanto in tanto, accada che in redazione si accorgano prima dei lettori di una storia talmente bella da meritare un albo speciale che la valorizzi e celebri in maniera particolare, e che i “fuori serie”, “gigante”, “maxi”, “cartonati” o altro vengano pubblicati proprio in queste occasioni. Da qualche tempo alla Bonelli le cose sembrano andare nella direzione esattamente contraria.
Oltre alle serie regolari i personaggi di punta sono inflazionati con una miriade di uscite di qualità assolutamente mediocre: i Maxi sono ormai caratterizzati da diverse storie banalissime o da una sola, tirata all’inverosimile per riempire più pagine possibili, e per i lettori leggerli è diventato più un tormento che un piacere; i cosiddetti Speciali spesso propongono storie che raggiungono abissi di mediocrità tali da essere impubblicabili sulle serie regolari. In questa maniera aumenta la disaffezione verso personaggi che erano amatissimi e i lettori smettono di seguirli, perché non provano, leggendo le loro avventure, né lo stesso divertimento di un tempo né le stesse emozioni. Insomma, quando si parla di crisi del Fumetto, credo la crisi non sia nel fumetto, ma nelle idee degli autori e nelle politiche degli editori. Per capire meglio il ragionamento, veniamo a questo mese e al personaggio più amato e venduto della Bonelli: Tex Willer. È uscito in edicola, proprio qualche settimana fa, un albo attesissimo, scritto e disegnato da un “colosso” del fumetto, Paolo Eleuteri Serpieri: un cartonato elegante e curato che potremmo ascrivere alla categoria delle “graphic novel”. Sulla carta il volume “L’Eroe e la Leggenda” (questo il titolo) si preannunciava come un capolavoro: un grande personaggio e un grande autore che aveva carta bianca sulla storia da realizzare. Ci pensate? Il genio di Paolo Eleuteri Serpieri avrebbe potuto fare qualsiasi cosa!!! Raccontato in due parole anche il plot della storia sembra funzionare ed essere assolutamente intrigante: un Carson in là con gli anni, leggenda vivente del West, ospite di un ricovero per anziani, riceve in visita un giovane scrittore. Durante l’incontro gli racconta di un suo amico e compagno della giovinezza, quando la Frontiera era ancora viva e pulsante d’avventure e ogni scaramuccia con gli indiani poteva colorarsi di quella patina mitica che caratterizza la nascita di ogni leggenda: Tex Willer. Il fatto che il vecchissimo Carson perda qualche colpo, forse faccia confusione e ricordi male, o forse menta per aumentare l’impressione che suscita suo racconto, potrebbero essere elementi che aumentano il fascino della storia (in questo senso il titolo del volume sembrerebbe più che indovinato). Il giovane esce da quell’incontro molto colpito dalla storia e, proprio alla fine, con un “coup de theatre” si scopre che quel giovane si chiama Bonelli. A chi, raccontata così, e con tali premesse di autorialità, non verrebbe voglia di leggere questa storia? E invece essa, nonostante l’importanza di autore e personaggio, nonostante la bella veste grafica, nonostante l’idea geniale alla base, è una grande, grandissima delusione.
Il deficit principale sta nel fatto che tutti (editore, autore e redattori e curatori del personaggio) sono partiti con l’idea di produrre una “grande” storia d’autore con protagonista Tex, ma con tutta evidenza quando Eleuteri Serpieri si è messo al lavoro gli è mancata la forza motrice principale: l’ispirazione. “L’Eroe è la Leggenda” è il risultato esemplare di ciò che accade quando si vuole fare arte senza ispirazione: tavole barocche e curatissime per una storia di una superficialità cosmica, raccontata da didascalie e dialoghi spesso di una grandezza grottesca e imbarazzante. Alcuni si sono lamentati perché il Tex di Eleuteri Serpieri non è quello della serie regolare. Credo questo sia un falso problema, tra l’altro sollevato dalla sola fascia dei lettori più conservatori: pensiamo a cosa accade nell’editoria dei comics americani, dove le realtà alternative di quegli eroi sono esplorate da anni e hanno regalato vere e proprie pietre miliari del fumetto. Il fatto sostanziale è che “L’Eroe e la Leggenda” risulta essere semplicemente un discreto volume di illustrazioni, ma certamente non un buon fumetto. Ciò sia per il fatto che la storia in sé non ha nulla non solo di “autoriale”, ma neanche di particolarmente godibile, che per la difficile lettura, resa spezzettata e spigolosa dall’invadenza estrema dei baloon. Insomma non bastano i disegni a fare un fumetto: esso è la somma di immagini, della sceneggiatura e di una “idea” di racconto forte e robusta che tramite prosa e disegno deve essere narrata ai lettori. Potremmo azzardarci a paragonare il fumetto ai “Sistemi Complessi” studiati in Sociologia, in cui se è carente una delle componenti del Sistema, è l’intero Sistema a diventare carente. Quindi il problema de “L’Eroe e la Leggenda” non è la figura di Tex, ma il fatto che esso sarebbe stato un mediocre western anche se Tex non fosse apparso da nessuna parte: questa è semplicemente una mediocre storia “libera” del Lanciostory degli anni Settanta (con tutto l’immenso rispetto al Lanciostory degli anni Settanta, che comunque sfornava capolavori in continuazione), sul quale tra l’altro il maesto Eleuteri Serpieri pubblicava storie western di una bellezza e di una sintesi grandiosa rimaste ancora negli occhi e nel cuore dei lettori, che con il presente lavoro non hanno assolutamente nulla a che vedere.
Un ulteriore elemento di riflessione è dato dal fatto che su questa banale storiellina l’editore abbia impostato una campagna di marketing intensissima, per cui tutti aspettavano il capolavoro. Ma da lettore, se l’editore mi convince che leggerò un capolavoro e poi mi ritrovo una storiella senza sale, io mi pongo due domande. Innanzitutto mi chiedo dove sia finito lo spirito critico della redazione Bonelli: ma a loro, quando hanno letto per primi questa storia, essa è davvero piaciuta così tanto? E poi, se da lettore seguo ormai tentennante una serie Bonelli in geometrica decadenza qualitativa (e ce ne sono tante) per pura affezione al personaggio, sperando in un rilancio o miglioramento, la mia domanda sarà: ma se alla Bonelli pubblicano queste cose convinti che siano capolavori imperdibili, che speranza c'è che serie ormai imbolsite e decadenti si riprendano? Cioè, se lo standard di riferimento dei lavori ben riusciti è ormai quello de “L’Eroe e la Leggenda”, perché continuare a seguire con affetto fumetti ormai caduti nella mediocrità totale, dato che ormai sono conscio che non ci si rende più neanche conto di cosa è brutto e cosa è bello? Paradossalmente, più le vendite calano più la Bonelli sforna albi, come se la carenza di qualità potesse essere tamponata con un’eccedenza di quantità. E così, mentre le uscite diventano numerose e complicate, come nel caso di Dylan Dog (che con il nuovo corso, il vecchio corso, le avventure di Bloch, eccetera eccetera, per essere seguite hanno bisogno di studi appositi e specialistici) e Nathan Never, sempre più frequentemente le emozioni che tali letture ci regalano si approssimano allo zero. Sarà che alla Bonelli sono tutti cervelloni e sanno benissimo la situazione verso cui sono diretti, ma io non la vedo rosea: se continua così nel medio periodo si rischia un’implosione del loro mercato tipo quello della Marvel negli anni '90. A noi lettori potrebbe paradossalmente andar bene: magari si tornerebbe alla qualità, con poche serie ma tutte quantomeno gradevoli. E potremmo così riprendere a sognare avventure da vivere insieme a eroi con i quali è davvero piacevole trascorrere qualche ora.