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MAXMAGNUS – MAX BUNKER (OSCAR INK)
di FRANCESCO CECCAMEA
Di solito le introduzioni a un volume lasciano il tempo che trovano ma nel caso di quella firmata da Gabriele Frasca all’inizio del Maxmagnus di Bunker non è così. Oltre a essere scritta davvero bene offre uno sguardo intrigante e accorto sull’epopea dell’irresistibile tiranno e il suo (in)fido amministratore. Le strisce complete raccolte nel libro edito dalla Mondadori per la collana Oscar Ink in edizione restaurata, ha il pregevole merito di offrire al pubblico un momento magari non così noto del sodalizio Bunker-Magnus ma da riscoprire doverosamente. Nato sulla rivista Eureka dell’Editoriale Corno nel 1968 e raccolto in volume per la prima volta nel 1971, Maxmagnus mantiene lo stile tipico delle strisce basate sul meccanismo dell’eterno ritorno ma solo a Il giorno dei bagordi, episodio che anziché mantenere la solita lunghezza si protrae per otto pagine meravigliose. Da lì in poi storia guadagna un passo consequenziale fino all’epilogo tragicomico del re Maxmagnus destituito dal popolo in rivolta e mandato in esilio con l’intera sua famiglia reale in groppa a un somaro. L’ironia e l’aspetto buffo dei personaggi principali, perfidi e miserabili, ingentiliscono una vicenda piuttosto sanguinaria e crudele che mostra il filo genetico di Maxmagnus con l’autore di Satanik e Kriminal. (Un esempio su tutti è l’albero di natale con gli impiccati). Il re pacioccone e l’amministratore furbastro sono macchiette irresistibili e nonostante spremano la plebaglia senza alcuna pietà, spazzando via con violenza qualsiasi manifestazione di scontento, non riusciamo ad avercela con loro. E quasi ci dispiace quando nelle risolutive tavole un corteo di contadini armati di forconi, zappe falci e martelli (più chiaro di così) prendono d’assedio il troneggiante e cupo castello ai cui piedi per 60 e passa pagine sono stati consumati i soprusi più detestabili e le angherie più inverosimili. L’amministratore è in cella durante la rivolta (ci finisce spesso in punizione per tentativi di furto ai danni del Re) e sta attendendo la sua esecuzione. Preferisce la morte piuttosto che sposare la figlia inguardabile del sovrano. L’arrivo dei facinorosi è una manna per lui che si ritrova da indifendibile sanguisuga delle finanze reali e mastino tassatore in una specie di martire del popolo. Il capovolgimento delle parti lascia sempre il potere in cima a tutto e come un contadino in fila dice nelle ultime vignette in maniera populistica e inevitabile “cambiano i suonatori ma la musica l’è sempre la stessa”. E va detto che lo sguardo disincantato di Max Bunker si nota da cima a fondo. La pugna conclusiva dei poveri contadini vessati e angariati da un sovrano disumano e insaziabile è solo un’occasione per chiosare in modo estremamente cinico su quanto sia la natura stessa degli uomini il vero limite contro cui nessuna forma di idealismo, sempre concepito dagli uomini, possa far molto. Le leggi di natura vincono sui principi e quando i poveri prendono il potere e dichiarano che i ricchi pagheranno e i poveri saranno esentati dalle tasse, l’ex Amministratore di Maxmagnus, ricondotto al suo ruolo di maneggione dal popolo stesso che tanto l’ha odiato, fa notare che ora i ricchi sono proprio loro!