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Gravetown 10th. Intervista a Paolo Zeccardo

gravetownDi Giorgio Borroni

Vi ricordate “Kickboxer”? Già, il film che lanciò Jean Claude Van Damme e che hanno di recente rifatto (male) con più budget e meno idee?

Ecco, io quando da piccolo lo vidi al cinema ne rimasi estasiato: un tizio occidentale andava in Tailandia e faceva nero Tong Po, il cattivissimo campione locale (che poi era un attore occidentalissimo con occhi a mandorla posticci, Michel Qissi, ma questa è un’altra storia), era una vicenda quasi impossibile, ma mi esaltava non poco proprio nella sua improbabilità.

Ecco, la storia editoriale di Paolo Zeccardo è simile e altrettanto bella, soprattutto perché non è una fiction. L’italianissimo Paolo Zeccardo, infatti, è riuscito a ottenere l’attenzione dei giapponesi con un manga che ha avuto un notevole successo nella Terra del Sol Levante.

Ma di questo successo che ha pochi precedenti in ambito artistico possiamo parlarne con il diretto interessato: ho infatti l’onore di intervistare Paolo Zeccardo “San” in persona!

FDA: Allora, Paolo, dalla tua biografia on line leggo che hai seguito prestissimo, dai tempi del Liceo Artistico, un corso di manga della Sensei Yoshiko Watanabe. Come è stata quell’esperienza e come ha influenzato il tuo stile?

E' stata un'esperienza eccezionale. Ricordo che erano lezioni intensissime dove per un anno non abbiamo fatto altro che imparare, imparare e imparare. La maggior parte di ciò che ho fatto finora lo devo a lei, mi ha insegnato tutto ciò che so sulle tecniche manga: l'uso del g-pen, la retinatura, la struttura della tavola...

Beh, più che influenzato, direi che mi ha aiutato parecchio a tirarlo fuori. Ho sempre amato lo stile grafico vintage e il tipo di inchiostrazione dei manga di una volta, e pian piano che creavo e studiavo i miei primi personaggi, mi rendevo sempre più conto che era il tipo di stile che mi si addiceva di più.

FDA: In Giappone hai anche pubblicato un fumetto per MangaReborn, immagino sia stata un’esperienza stupenda… ma come è stato l’impatto con il loro metodo di lavoro? So che hanno dei ritmi editoriali molto serrati rispetto a noi occidentali.

Sì beh, ho pubblicato in Giappone, ma fortunatamente non sono stato coinvolto nel loro ritmo lavorativo, grazie al cielo! E' stata un'esperienza fantastica: il mio manga (che comunque era solo un piccolo one-shot di poche pagine) fu selezionato insieme a quello di altri 4 autori non giapponesi per essere pubblicato all'interno di una rivista speciale della casa editrice MangaReborn; e dal sondaggio di gradimento, è uscito fuori che fu proprio quello più amato dal pubblico. Ricordo che ero al settimo cielo!

FDA: Veniamo alla tua opera di esordio, Gravetown, pubblicato nel 2006 per Cagliostro. Cosa ricordi di quella esperienza?

Rcordo che fu adrenalinica. Mi spiego meglio: fu il mio primo fumetto al quale dovetti dare un'importanza anche da un punto di vista lavorativo e professionale. All'epoca avevo ancora un tratto molto acerbo e non ero ancora in grado di “raccontare” attraverso il fumetto in maniera non dico eccellente, ma neanche buona. Però ricordo che mi impegnavo come un matto per cercare di migliorarmi sempre di più, e penso si possa notare nel corso dei capitoli. Ho lavorato a Gravetown per quattro lunghi anni e, di conseguenza, il mio stile si è evoluto, è cambiato, migliorato, se posso osare. Ci ho davvero sputato sangue e sudore su quell'opera, ed è per questo che, nonostante sia ben lontana dall'essere perfetta, rimane tuttora quella che, più di tutte, ho nel cuore.

Comunque, solo per correttezza, i primi capitoli uscirono in versione digitale nel 2006, ma il primo volume cartaceo uscì nel giugno del 2007.

FDA: Come venisti in contatto con Cagliostro all’epoca? Che riscontro di pubblico ebbe Gravetown?

All'epoca credo neanche esistesse Facebook, noi utenti virtuali usavamo ancora i forum, ed io ero un assiduo frequentatore di uno dei più famosi forum italiani sui manga. Iniziai a postare i primi disegni dei miei personaggi lì: più postavo più gente apprezzava e mi scriveva. Fino a che non li notò un ragazzo che oggi è diventato uno dei più importanti autori di fumetto in Italia e che all'epoca lavorava in Cagliostro, e così nacque tutto... Ricordo che ad ogni fiera a cui partecipavamo, avevamo file di ragazzi e ragazze in coda per acquistare i volumi di Gravetown, che andavano puntualmente esauriti ad ogni evento. Ne avremmo venduti un migliaio circa per ogni volume, che per l'epoca erano cifre enormi, essendo una piccola casa editrice indipendente ed essendo, il mio, il primo fumetto seriale in stile manga pubblicato in Italia.

FDA: Nel tuo stile riconosco un po’ di Tezuka mescolato a influenze più attuali… ci ho preso? Se non ci ho preso, quali sono le tue principali fonti di ispirazione?

Ci hai preso eccome! Tezuka è da sempre una delle mie più alte fonti di ispirazione, ma non la più importante. Ancor prima di lui, mi ispiro tantissimo al Go Nagai di Devilman, a Shingo Araki e a Hiroyuki Takei (l'autore del manga di Shaman King, soprattutto per l'inchiostrazione). Per quanto riguarda invece lo storytelling e il layout delle tavole, mi ispiro tantissimo a Fuyumi Souryo, una delle più importanti mangaka degli utimi 30 anni.

FDA: Nei primi anni 2000, da quel che mi ricordo, nelle scuole di fumetto i manga venivano visti da molti con sospetto. Un tizio famosissimo nell’ambito della Nona Arte un giorno disse a lezione che fare manga in Italia è come se i giapponesi venissero a insegnarci a cucinare gli spaghetti. Hai mai trovato difficoltà a farti pubblicare qui da noi per via del tuo stile?

Beh, ma noi non vogliamo insegnare ai giapponesi a fare manga, come non vogliamo insegnare agli americani a fare comics o ai francesi a fare bande dessinée. Eppure esistono decine di autori italiani ed europei che lavorano in Marvel e DC e altrettanti autori non francesi che disegnano bande dessinée per il mercato francese. Credo che fare un discorso del genere, al giorno d'oggi e con tutte le contaminazioni artistiche a cui siamo sottoposti, sia un po' troppo riduttivo e prevenuto. Per non dire ridicolo.

Ovvio che ho trovato difficoltà, ne trovo tuttora, perchè purtroppo, anche in questo ambito, a noi italiani piace restare sempre trent'anni indietro rispetto al resto del mondo. Ma nonostante questo, fortunatamente le cose negli ultimi anni stanno cambiando sempre di più e sempre in meglio, quindi nascono sempre più realtà editoriali più o meno grandi, che si occupano di pubblicare e valorizzare il manga italiano di qualità.

FDA: A questo punto però dicci come hai fatto ad arrivare in Giappone, suppongo che “sfidare” i giapponesi nel loro territorio sia davvero da temerari!

Ahahahahah, ma nessuno ha sfidato nessuno! Sono stato in Giappone tante volte, ed ogni volta andavo nelle case editrici a rompere le scatole, e più ci andavo più si rendevano conto di quanto fosse importante per me riuscire ad avere anche solo un piccolo riscontro positivo. Poi ovviamente devi anche essere furbo e ambizioso abbastanza da riuscire a crearti i tuoi contatti e le tue amicizie. Come si dice, da cosa nasce cosa, e se tu vali davvero come artista, se ne accorgono ovunque, anche in Giappone.

FDA: Oltre a essere molto attivo nel mondo del fumetto insegni anche alla Scuola di Comics… da insegnante, pensi che chi vuole imparare a fare manga debba assimilare totalmente lo stile giapponese o credi nelle contaminazioni?

Assolutamente no, mai assimilare totalmente lo stile giapponese! Non ne abbiamo alcun bisogno, ci pensano già i giapponesi a sfornare fumetti in uno stile manga puro al 100%. Chi vuol fare manga in Italia e in Europa, deve imparare a mixare alla perfezione i tratti tipici del fumetto orientale con quelli tipici del fumetto occidentale, creando uno stile ibrido che funzioni. Le contaminazioni sono già in atto da parecchi anni, e anche con successo direi, quindi l'unica strada per rinnovarsi sempre ed avere sempre uno stile fresco e giovane, è proprio questa.

FDA: Di recente Cagliostro ha lanciato un Crowdfunding per far ritornare Gravetown… l’operazione mi sembra davvero un’ottima pensata, ora però prova a convincere gli scettici a mettere mano al portafoglio!

Guarda, chi mi conosce sa che io sono la persona più umile del mondo, quindi “convincere” qualcuno a comprare una mia opera, esaltandola, non è proprio da me. Ma posso dire con certezza che dopo averla riletta a dieci anni di distanza, mi ha emozionato ancora di più. E sono sicuro che sarà così sia per i vecchi lettori che soprattutto per quelli nuovi. Ripeto, non è un'opera perfetta, anzi, ma secondo me è proprio questa sua imperfezione a renderla unica e “vera”, perchè all'interno potrete vedere con i vostri occhi e sentire con il vostro cuore la crescita e l'esperienza di vita di Vincent, il protagonista della storia, che va di pari passo con la mia, personale, di autore.

...e poi c'è Farfarello, non potrete non amarlo! ;)

Ringrazio Paolo per la sua disponibilità, e ricordo a tutti quelli del “i manga italiani sono brutti” o “non hanno senso” di dare una chance a questo autore che è riuscito a imporsi anche in Giappone, a dimostrazione che il teorema JCVD vale pure per i fumetti!

Grazie di cuore a voi!

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