Fumetto d'Autore ISSN: 2037-6650
Dal 2008 il Magazine della Nona Arte e dintorni - Vers. 3.0 - Direttore: Alessandro Bottero
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L'Editoriale » Un abuso uccide i giochi

barbareschidi Alessandro Bottero

[07/05/2010] » Editoriale di scuse. Scuse, perché tra mille polemicucce da cortile che  agitano sempre più il mondo del fumetto italiano, è passata sotto silenzio la Seconda Giornata Nazionale contro la Pedofilia e la Pedopornografia, organizzata dalla Fondazione Luca Barbareschi per il  5 maggio 2010. Il titolo di questo editoriale riprende in parte lo slogan scelto per la giornata, ossia “Un abuso è la fine dei giochi”. Spero che nessuno salti su a dire che di queste cose non si deve parlare in un sito dedicato primariamente ai fumetti, perché ci resterei male.

Il problema è serio, e di non facile lettura. Voglio proporre ai lettori di Fumetto d’Autore alcuni testi, per capire un po’ meglio  il tutto. Parto da un discorso di Mons.Crociata, segretario della CEI, che  trovate nel blog di Sandro Magister, Settimo Cielo, un blog inserito nel circuito di blog legati al gruppo Repubblica-Espresso, e quindi non etichettabile come “servo del Vaticano”. Il discorso è, a mio avviso, uno dei migliori fin qui  fatti sul problema pedofilia all’interno della Chiesa  Cattolica. Ecco il link; http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/04/30/crociata-contro-la-pedofilia-con-giustizia-con-cura-con-grazia/

Proseguo con  tre libri, due pubblicati dalla casa editrice Chiarelettere, ossia Viaggio nel silenzio e Presunto colpevole, e uno da Rizzoli, ossia Olocausto bianco. Sono tre testi molto interessanti per capire cosa sia il problema, e anche (soprattutto Presunto colpevole), quanta prudenza ci voglia nel dare giudizi in questo campo. Il libro parla di tutti i presunti colpevoli di abusi, rivelatosi poi innocenti, ma con la vita distrutta dai processi mediatici.

E adesso veniamo a noi. Cosa può dire il fumetto su questo argomento? Dobbiamo lasciarci interrogare? Cambiare qualcosa?

Il tema è molto complesso, e tocca punti, direi, vitali. Ponendo come punto di partenza che la censura è, a mio modo di vedere, un atteggiamento sempre sbagliato in sé, rimane però il punto se la libertà dell’artista/narratore debba essere totale, o no.

La censura è una via sbagliata, dicevo, quindi un controllo esterno all’opera realizzata non è la strada da seguire (fatto salvo il rispetto delle leggi vigenti, e l’accettazione delle eventuali conseguenze di una scelta consapevole di infrangerle per motivazioni personali). Ma se un controllo da parte di un’autorità esterna è da respingere, questo significa anche che un auto-controllo, da parte di chi narri una storia è da vedere come auto-censura, e quindi come limitazione forzata della libertà di espressione? Qui ho molti dubbi. Da un lato mi riconosco nella posizione di Kant, che vedeva nell’Arte il libero gioco delle facoltà creative, svincolate da fini etici o economici, dall’altra però è vero che tra molti dati narratiivi possibili lo scrittore ne sceglie alcuni, e tra molti dati  visivi possibili il disegnatore ne sceglie alcuni. Se è semplicistico attribuire all’Arte  un valore pedagogico e basta, non è però nemmeno possibile che la produzione di singole opere aiuti a banalizzare valori  e contenuti. Siamo d’accordo, secondo quanto ci dice Eco, che ogni opera è aperta, e che quindi è anche il lettore, a dare un senso finale all’opera in sé, ma è anche  vero che nessuna opera è vuota in partenza. Il lettore rielabora dati presenti nell’opera. Ecco perché dico che tra tutti i dati possibili, gli autori ne scelgono alcuni, e ne scartano altri. La responsabilità dell’autore è qui: che sceglie? Che dati invece scarta? E perché sceglie quei dati, e non altri? Credo di poter dire che i dati  (narrativi e visivi) vengono scelti ed adoperati per trasmettere dei contenuti, dei punti di vista sul mondo da parte degli autori. E sono questi a dover essere ricondotti, come responsabilità, agli autori.

Presentare, e reiterare in produzioni  successive, contenuti X aiuta da un lato ad accettare socialmente quei contenuti, dall’altro abitua il pubblico a considerare normali tali contenuti, fino a giungere, nei casi più estremi, alla banalizzazione degli stessi.

Ora, se è vero che è appurato fin dai tempi del famoso  rapporto della Presidential Commission on Obscenity and Pornography, istituita nel 1967 da Lindon Johnson, all’epoca Presidente degli Stati uniti, che nel 1968 concluse così: “no causal relationship between exposure to pornography and any kind of socio-sexual deviance, including criminality & delinquency” (non esiste alcuna connesione causale tra l’esposizione alla pornografia e un qualsiasi tipo di devianza socio-sessuale, compresa criminiltà e delinquenza), è altresì vero che ogni singola opera pubblicata & distribuita, contribuisce  a creare un clima sociale, in base al quale i singoli comportamenti vengono valutati accettabili o meno socialmente. Non esiste allora una diretta connessione causale, ma esiste, è mia opinione, una possibile connessione indiretta, nella forma della possibile banalizzazione, di  atti o comprtamenti.

Vengo al concreto, dopo questo lungo excursus. Fumetti in cui, senza alcuna motivazione, oppure con l’unica motivazione dell’esposizione in sé e per sé, si ritraggano minori in atteggiamenti esplicitamente  sessuali, sono ancora ascrivibilil alla categoria libera espressione dell’artista, o non è lecito porsi (e porre) delle domande, sulle scelte effettuate dall’autore nel raffigurare tali scene?

E se il contrasto alla pedofilia, proponendo alternative a uno schema per cui il forte usa violenza sul debole usandolo sessualmente, è una cosa giusta, non deve forse anche il fumetto assumerlo come obiettivo? Non è forse anche questo un qualcosa che dovrebbe interrogare gli autori?

Volendo spararla grossa: io  capisco che in Giappone la pensino diversamente, ma sostenere, diffondere, addirittura realizzare ex-novo, fumetti hentai o lolicon, non è, forse, una cosa su cui riflettere? Basta mettere un bel avviso “I personaggi raffigurati sono tutti maggiorenni, e si tratta solo di disegni su carta”, per metterci l’animo in pace? Non dovrebbe esserci una riflessione sul perché delle nostre scelte? A cosa serve, a cosa mira, la pubblicazione di quel determinato fumetto? Perché scrivo e disegno quella storia X, che potrebbe dare adito, magari perché non capita, a dubbi circa il suo essere o meno pedopornografica? Sono in grado di dare una motivazione alle mie scelte? E, in sostanza, che cosa voglio comunicare? Lo so, o mi limito a titillare i gusti del pubblico, che acquisterà il fumetto che produrrò, o pubblicherò?

È tutto. Scusate, se vi  sono sembrato pesante, ma di certe cose o se ne parla ragionandoci sopra, oppure è meglio sare zitti. Gli slogan li lascio  a qualcun altro.

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