Fumetto d'Autore ISSN: 2037-6650
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L'Editoriale » Il Futuro del Fumetto

whatsnextdi Alessandro Bottero

[15/03/2010] » Non sono stato a Mantova Comics. Non ci vado da due anni. Il motivo? Semplice. Come standista non ho mai incassato abbastanza anche solo da ripagare il costo dello stand. Per cui, dopo due volte che ci rimettevo un bel po’ di soldi, mi sono detto “me lo ha ordinato il dottore?”. Con questo non  voglio dire che l’organizzazione sia carente, o che mi sia trovato male. Assolutamente. I miei rapporti personali con le persone dell’organizzazione sono sempre stati ottimi. Però non incassavo, e quindi non ci sono più andato. Uno va, prova, e poi trae delle conclusioni.

Questo per chiarire che, non essendo stato a Mantova Comics quest’anno, non ero presente all’incontro in cui si è parlato di come vadano le cose per il mercato a fumetti. Non c’ero, e quindi le mie riflessioni su cosa si sia detto si basano SOLO su quel che ho letto nel resoconto firmato da Francesco Borgoglio e pubblicato da il sito Comicus.it nel suo reportage. Non c’ero, ho letto quello che mi viene dato come resoconto ufficiale (Comicus è Media Partner di Mantova Comics, quindi immagino che i suoi resoconti siano ufficiali), e ho riflettuto su quel che ho letto.

Ok? Chiaro? Ho ammesso di non aver assistito in prima persona, ho detto di basarmi su un resoconto da parte di terzi (quello che in Metodologia si chiamano fonti secondarie), e quindi posso anche non cogliere cosa si sia effettivamente detto.

Stabilito questo lasciatemi però essere molto perplesso sui commenti entusiastici che vedo in giro. Partecipo come addetto ai lavori a manifestazioni di fumetti dal 1991. Fanno quasi vent’anni. Un bel po’ di tempo, eh? Sapete a quanti incontri sul futuro del fumetto ho partecipato? Vogliamo dire venti? Uno all’anno? L’ultimo è stato a Romics 2009. Presenti, tra gli altri, Francesco Coniglio, Marco Schiavone, Pasquale Ruggiero, Marco Lupoi. Si è parlato proprio di crisi, di edicole, di numeri in calo, di fumetterie, di supporti digitali e così via.

Sapete da quanti anni è che sento sempre le stesse cose a questi incontri sul futuro del fumetto in Italia? Da venti. A Mantova Comics 2007 (credo, o era il 2008), ce ne è stato uno, organizzato sempre dai soliti, dove si è parlato di fumetterie, distributori, numeri in calo, concorrenza sleale da parte di tizio e di caio, di Panini Comics, di resa, di promozione e così via. Chi c’era? Alex Bertani, Pasquale Saviano, Marco Rizzo, Francesco Settembre, Marco Schiavone, Andrea Rivi, eccetera, eccetera, eccetera.

E le stesse cose le ho sentite a Lucca, a Milano, a Torino, a Napoli. E le ho sentite nel 1992, nel 1993, ’94, ’95, e a proseguire fino al 2010.

Se vogliamo è come un cliché. Una mostra che si rispetti deve prevedere un incontro su il futuro del fumetto in Italia, dove i soliti dicono sempre le stesse cose, e dove solo la mancanza di memoria a breve termine da parte dell’essere umano medio, fa’ sì che le cose dette sembrino nuove e interessanti. Un po’ come quando ai bambini racconti sempre la stessa favola la sera, per tranquillizzarli e farli addormentare. Quei piccoli riti, che costituiscono la struttura del reale. Alle mostre, X ha addosso sempre il solito giubbotto, lo stand di Y è sempre nello stesso posto, Z farà sempre le solite battute, la sera si andrà sempre nel solito locale/ristorante/pub, e chi pensa agli incontri organizzerà anche un bell’incontro sul futuro del fumetto. Potremmo definirla “narrativa fieristica di genere”, ossia una struttura narrativa basata su canoni fissi, mirati più che altro a tranquillizzare il consumatore, dicendogli in realtà quello che vuole sentirsi dire.

Ma veniamo al dettaglio. Cosa si è detto in questo incontro di Mantova 2010? Come ho già chiarito mi rifaccio al resoconto pubblicato su Comicus, quindi partiamo da lì:

-si è parlato della fine dell’Eura e della nascita dell’Editoriale (non Edizioni) Aurea;

-sia Lorenzo Bartoli che Sergio Bonelli hanno detto che Eura/Aurea & Bonelli hanno avuto un calo di vendite per tutto l’anno 2009. Bonelli, nel suo caso specifico, ha poi detto che il calo generale è stato bilanciato dalla tenuta di Tex e Dylan Dog;

-la Star Comics (per bocca di Dario Gulli) invece è stata ottimista;

-la Disney (attraverso Gianfranco Cordara) ha parlato di “un anno buono, in cui la crisi è stata circoscritta, il fumetto ne ha risentito ma si è potuto reagire alle perdite con l’indotto del fumetto, digitale, gadget ed altro ancora.

-per la Panini (con Marco Marcello Lupoi) il 2009 è stato senza mezzi termini un anno soddisfacente; il fatturato complessivo è stato incoraggiante, soprattutto sulle nuove sfide intraprese nel mondo dei varia, come i manga ed il fumetto americano “extra Marvel”.

- Francesco Settembre, per l’AFUI,  ha detto invece che il 2009 è stato difficile per le fumetterie, con  chiusure di esercizio o comunque di forti tagli alle spese.

Perfetto. Restiamo un attimo su cosa si è detto (ripeto, sempre basandomi SOLO su cosa ho letto)

1 -I fumetti in edicola vendono meno (però, dove sono i numeri di Diabolik? Ed. Epierre? Planeta?).

2 -Alcune cose però vendono sempre (Tex, Dylan Dog, Cornelio),  e forse sarebbe da capire che il pubblico di massa delle edicole vuole cose semplici e ben fatte. Non banali, ma semplici. Se Tex vende quasi dieci volte più di Caravan, un motivo ci sarà. Forse perché Tex è fatto bene, e Caravan no. Può essere, no? Se Cornelio (Star Comics), vende più di Caravan (come penso), ci sarà un motivo, no? O è possibile che tutti quelli che leggono cose che a me non piacciono, siano sempre ed automaticamente degli imbecilli? 30.000 persone che leggono Cornelio sono degli imbecilli, solo perché a me Cornelio non piace?

3- i grossi gruppi editoriali si sono salvati, perché hanno affiancato al settore editoriale puro, i cosiddetti “settori correlati”, e soprattutto gadget ed ALLEGATI. Sarebbe stato da chiedere “Scusi, ma nel fatturato 2009 Panini qual è stato il peso degli ALLEGATI EDITORIALI, rispetto alle testate pure? E l’esperimento dell’acquisizione di Cioè, partito nell’aprile 2009, si è rivelato positivo?””, e la stessa domanda si potrebbe fare a Bonelli. “Scusi, lei ha serie/miniserie che vendono meno di 20.000 copie al mese, cifre risibili per la sua casa editrice. Però ha tutte le settimane quasi 100.000 copie vendute della Collezione a colori di Tex allegata a Repubblica ed Espresso. È come se avesse un mensile, senza costi di testi e disegni, che vende 400.000 copie al mese. Direi che non ci possiamo lamentare, no?”

Altra domanda che avrei voluto fare alla Panini è “è appena uscito per la Panini il nuovo prodotto Xerox, ossia una linea di collezionabili in 3D, con annessa rivista e presumibilmente carte da gioco, come i Gormiti, e gli altri prodotti della Giochi Preziosi. Che significa?” Ma forse chi era presente all’incontro non sapeva cosa esce in edicola…

4- Ogni anno che passa, la Panini dichiara, a questi incontri su come sia andato l’anno e come vada il mercato, che il fatturato è sempre in aumento. Non faccio fatica a crederlo, e auguro alla Panini vita lunga e prospera, anche solo per attenzione alle persone che ci lavorano, ma il caso Panini andrebbe un minimo esaminato con più attenzione:

- quanto aiuta il fatto di essere presente su tre mercati europei, con (nei fatti) un’unica redazione italiana che da Modena gestisce Italia, Francia, Germania?

- quanto incide nel fatturato la voce servizi editoriali per conto terzi?

- il settore della libreria di varia per i volumi Panini Comics si è consolidato, o si è dovuto ridimensionare di molto, dopo il massiccio ingresso attuato nel 2008, spinti anche dal promoter Vivalibro?

- i Film tratti da fumetti Marvel, fanno vendere più fumetti puri, o fanno vendere più allegati editoriali?

Ma è probabile che porre queste domande durante un incontro aperto al pubblico, sarebbe visto come atto di scortesia, con conseguente tacitamento di chi le fa.

A questo punto, seguendo il resoconto, si è passati all’argomento che non delude mai: la crisi del fumetto italiano ed i suoi motivi.

Francesco Settembre, per conto dell’AFUI,  ha parlato relativamente alle fumetterie, e ha individuato il punto dolente nella concorrenza quasi sleale che le case editrici fanno alle  fumetterie, quando portano alle grandi fiere numeri lancio o prodotti comunque in anticipo anche di un mese sulla grande distribuzione. Inoltre ha denunciato il vantaggio delle edicole di poter fare leva sul reso e quindi sulla possibilità di acquistare quantità maggiori e su di un sistema di regole vecchio di vent’anni.

Voglio capire una cosa. In Italia, anni fa, c’erano circa 300 fumetterie. Ora ce ne saranno un 200, forse 250 in tutto, visto che negli ultimi anni ci sono state molte chiusure. L’AFUI, di cui Francesco Settembre è presidente, ne raccoglie circa 12 (secondo quello che sapevo qualche tempo fa). 300 e 12 (o magari anche 15 o 20, gli auguro di essere cresciuti nel frattempo). Non vi pare che ci sia un certo scarto?  Come si fa a dire “LE FUMETTERIE…..” partendo da una base così piccola, rispetto alla realtà? A Roma ci sono oltre 30 fumetterie. Se per assurdo TUTTE le fumetterie di Roma si unissero in un’associazione, sarebbero più di quelle iscritte all’AFUI. Ma avrebbe senso se le fumetterie di Roma, tutte unite in un’associazione, pretendessero di parlare a nome di TUTTE le fumetterie d’Italia, dicendo “le cose vanno come diciamo noi!”? No. Non avrebbe senso. Vabbé. Divagavo….

Comunque il problema per le fumetterie è che gli editori alle grandi fiere portano le novità. Francamente mi pare strano. Quali sono le grandi fiere? E quali sono quelle piccole? Quali editori? Quali novità? Se io presento un prodotto sui cataloghi, e le fumetterie me ne ordinano 60 copie, perché non dovrei portarlo a Lucca (che presumo sia una grande fiera) e venderne 100 direttamente al pubblico? Me lo ha ordinato il dottore di non vendere? Se un editore, nei fatti, anno dopo anno si vede arrivare persone allo stand che dicono “io le tue cose nella fumetteria dove vado non l’ho mai viste” e poi ti comprano arretrati e novità, che dovrei fare? Dirgli “no, la novità non te la vendo. Vai nella fumetteria dove ti servi e digli di ordinarla, così poi tra un mese la compri da loro, e io avrò il 45% del prezzo di copertina fra quattro mesi!”? Devo fare così? Per non “danneggiare” uno che quando quella novità che ho portato in fiera è stata annunciata sui cataloghi, NON L’HA ORDINATA? E poi si lamenta se io la vendo in fiera? Ma soprattutto la cosa che mi lascia perplesso è la distinzione (implicita) grande fiera/piccola fiera. Quand’è che una fiera è grande? Presumo per il numero di presenze. In Italia le presenze alle fiere sono più o meno queste:  Lucca = oltre 100.000; Romics = circa 80.000; Cartoomics (Milano) e Torino Comics = sopra i 40.000. Napoli Comicon = tra 20.000 e 30.000 (di più non ci stanno a castel sant’Elmo, quindi potete sparare tutte le cifre che volete. Più di 30.000 a Napoli non ci stanno.) poi tutte le varie fiere (Terni, Narni, Lanciano, Fullcomics, Mantova, Falconara, Rimini, e altre ancora) oscillano tra 2/3.000 presenze per le più piccole fino alle 20.000 delle più grandine. Allora, quali sono le grandi fiere? Lucca? Ok. E poi?

Ah, certo scusate, qui si parla di Panini, o di chi porta alle fiere i fumetti da EDICOLA. E allora per favore nei resoconti (e nelle lamentele) cercate di essere chiari. Diciamo le cose in modo chiaro “Le fumetterie sono in crisi, perché la Panini a Romics e Lucca porta le novità che poi usciranno dopo venti giorni in edicola e fumetteria, e quindi la gente che passa alle fiere compra allo stand Panini le novità, e le fumetterie si ritrovano poi con ordini fatti tre mesi prima, di materiale che i loro clienti hanno già preso in fiera.

Uno potrebbe rispondere “Beh, ma è la Panini che si comporta male, o i lettori che sono scorretti e PUR AVENDO ORDINATO un volume in fumetteria lo prendono allo stand?”

Una possibile soluzione al problema, che in effetti esiste,  potrebbe essere questa: chiedere un acconto, quando un cliente ordina un volume costoso. Se uno anticipa il 10% del prezzo di un volume, è difficile che lo prenda a una fiera, solo perché così ce l’ha con qualche giorno di anticipo.

Il dibattito è proseguito riproponendo le solite cose dette, ridette e stradette.

-Edicole e fumetterie fanno in realtà parte di due tipi di contratti e di regolamentazione nella distribuzione completamente diversi. L’ha detto  Alex Bertani, della Pan distribuzione, ed è la stessa cosa che gli ho sentito dire almeno altre cinque volte in altrettanti incontri. Attenzione, non è colpa di Bertani. Il problema è che si fanno sempre le stesse domande, ed ovviamente lui è costretto a dare sempre le stesse risposte. Immagino che anche lui si sia un po’ stufato.

- Forse vedremo i fumetti Bonelli nelle fumetterie. Anche qui sono anni che alla fine di ognuno di questi incontri su lo stato del fumetto in Italia, quando alla discussione partecipa Sergio Bonelli si recita sempre la stessa scena: si parla della distribuzione, si dice che fumetterie ed edicole sono due circuiti diversi, Bonelli resta colpito (come se non lo sapesse ormai a memoria…), e il discorso si chiude con la speranza di vedere i fumetti Bonelli in fumetteria.

Proseguendo nelle cose già dette e sentite:

-Il fenomeno edicola è un fenomeno tutto italiano (Parzialmente vero, ma stringi stringi che significa?)

-il clima culturale italiano non ha mai favorito, fumetto come espressione popolare, relegandolo sempre ad una forma di arte secondaria o addirittura inferiore. (Vero. Ma poi? Dopo che l’abbiamo detto per la 4.890esima volta che significa?)

Un piccolo inciso. Mi fa piacere che Sergio Bonelli si sia unito a questa denuncia, ma ricordo che per anni Bonelli è stato quello che ha sempre detto che il fumetto non era una forma d’arte, ed era costituzionalmente inferiore al cinema, come capacità espressiva ed artistica.  Probabilmente se il fumetto è considerato inferiore, anche l’atteggiamento che Sergio Bonelli ha sempre avuto nei riguardi del fumetti che pubblicava (una sorta di complesso di inferiorità, rispetto a cinema e letteratura) ha dato un suo contributo.

-I giovani non leggono più in generale ed il fumetto è stato sostituito dall’offerta tecnologica sempre più invadente (Non si leggono fumetti per la playstation, e i cellulari, e i DVD, e così via. Tutte cose che sento dal 1991. Da VENT’ANNI.)

- La Disney perde terreno con i suoi personaggi mito, una volta serbatoio di baby-lettori, futuri consumatori di Tex e Spider-Man.  (la solita idiozia, per cui I bambini leggono Topolino, poi crescono e passano a Tex e Uomo Ragno).

Ma dove? Ma  quando?  I lettori di Tex non sono gli stessi di quelli di Topolino. Ci vogliamo mettere in testa che Diabolik vende più di Topolino? Che Tex vende molto più di Topolino?  Che Dylan Dog vende molto più di Topolino? Quando mai è mai esistito questa catena evolutiva Topolino=>Uomo Ragno=>Tex? Forse solo nella mente di qualcuno. Uno legge Topolino, e nella stragrande maggioranza dei casi quando smette di leggere Topolino, smette di leggere qualsiasi fumetto.

-Si è perso il fumetto di fascia intermedia, legato all’età adolescenziale e, come correttamente ha osservato Lupoi, occorre cercarlo, pare con successo, nei manga giapponesi

E qui sarebbe stato da replicare che da mesi si parla di una crisi profondissima che investe il settore dei manga (vedi articolo di Castellazzi, da noi ripreso), con un drastico ridimensionamento del venduto dei manga, da parte di tutti gli editori che li producono. Tutti. Non solo Planeta e Giochi Preziosi. Tutti.

Basta, la smetto, sennò mi dilungo troppo.

Questi discorsi mi annoiano. Sono anni che sento sempre le stesse cose, dette sempre dalle solite persone.

Il discorso è che si può anche parlare dello stato del fumetto in Italia, ma allora non puoi fare un calderone di aria fritta, come succede sempre.

Un conto è parlare della situazione nelle edicole

Un conto è parlare della situazione nelle fumetterie

Un conto è se a parlare è una multinazionale, che ha come obiettivo unico il profitto

Un altro se a parlare sono editori piccoli, che hanno come motivazione del proprio agire non il profitto ma un discorso di promozione culturale.

Si vuole parlare di soluzioni alla crisi? Si vuole parlare di crisi? Si vuole parlare dell’innegabile calo del venduto?

Allora lo si faccia seriamente, e non organizzando enormi tavolate, dove in realtà tutto si riduce a

-lamentele;

-anedottica spicciola;

-esaltazioni del “fumetto digitale”, senza sapere di cosa si parli;

Si facciano una serie di incontri mirati, specifici, che:

a-descrivano la realtà presa in oggetto fornendo dei DATI a chi ascolta;

b- individuino i problemi

c- offrano possibili soluzioni

Non un incontro “specchietto per le allodole” dove si parla di tutto e tutti, ma UN incontro sulle edicole, UN incontro sulle fumetterie, UN incontro sulla distribuzione, UN incontro sulla promozione.

Meno fuffa, più sostanza.

Ps. Per quanto resto sempre convinto che questi incontri, durante una fiera, ossia quando il 90% dei piccoli editori è impegnato a vendere le proprie cose negli stand, non servano a nulla, perché chi dovrebbe davvero partecipare non è in grado di farlo. E quindi alla fine parlano sempre i soliti, che in alcuni casi rivestono solo un ruolo marginalissimo nella questione vendite/situazione futura/crisi del fumetto. Ma tanto so benissimo che nel corso del 2010 avrò modo di leggere almeno altre tre o quattro volte di incontri sul futuro del fumetto e sulla crisi.

Nella foto, tratta da Comicus.it, un momento della conferenza "What's next" svoltasi a Mantova 2010 e incentrata sul futuro del fumetto italiano.

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