- Categoria: Critica d'Autore
- Scritto da Giuseppe Pollicelli
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All'opera omnia di Manara pubblicata da RCS mancano tre tavole
di Giuseppe Pollicelli*
Alcune opere (sono rare, ma esistono) riescono a conciliare due caratteristiche apparentemente antitetiche: da una parte la capacità di suscitare reazioni indignate, infastidite, scandalizzate, finendo talvolta per incappare addirittura nelle maglie della censura; dall’altra il potere quasi magico di coinvolgere e interessare centinaia di migliaia di individui, superando i confini nazionali e divenendo una sorta di stella fissa dell’immaginario collettivo. È sicuramente ciò che si può dire, per esempio, del film Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, che nel 1976 (cioè a quattro anni dalla prima distribuzione della pellicola) costò al suo autore, in Italia, una condanna per offesa al comune senso del pudore e l’incredibile privazione - durata ben un quinquennio - dei diritti civili, tra cui quello di voto. Fatte le necessarie proporzioni, doverose vista anche la diversa caratura artistica dei due lavori, un caso simile è quello rappresentato da Il gioco, che è a tutt’oggi il più famoso e discusso parto fumettistico di Milo Manara. Uscito per la prima volta a puntate sulla rivista «Playmen» nel 1983, Il gioco è in fondo poco più che un divertimento che il disegnatore veronese (d’adozione, essendo nato nel 1945 in provincia di Bolzano) dev’essersi a suo tempo concesso per dare pieno sfogo alla sua passione per l’erotismo e, in particolare, per quelle sinuose figure femminili che da sempre tratteggia con straordinaria bravura. La trama contenuta nelle 46 tavole del fumetto è così esile da poter essere riassunta in una manciata di parole: un certo dottor Fez, uomo di mezza età decisamente brutto, sessualmente frustrato e innamorato senza speranze della splendida e facoltosa signora Christiani, si procura un aggeggio inventato da tale dottor Kranz che, attraverso una manopola, riesce a scatenare la libido della donna, annullandone i freni inibitori e inducendola a combinarne di tutti i colori (sessualmente parlando) anche al cospetto di sconosciuti. La fortuna de Il gioco sta proprio nella sua semplicità: Manara non ha fatto altro che appropriarsi di una delle fantasie erotiche più diffuse, portando così legioni di lettori, in tutto il mondo, a identificarsi con i protagonisti della sua storia. Un’operazione a suo modo perfetta. Senza trascurare, naturalmente, l’altra componente fondamentale del successo del fumetto, vale a dire il tratto classico, pulito e spudoratamente seduttivo (anche quando opta, e non è infrequente, per soluzioni facili e ammiccanti) del maestro Milo. Come per Ultimo tango a Parigi, tuttavia, è folta anche la schiera di coloro che de Il gioco pensano tutto il male possibile. Per ragioni formali, come il critico Luigi Bernardi (scomparso proprio pochi giorni fa), che definì il best seller «un fumettaccio senza pretese, sceneggiato alla boia di un giuda e disegnato spesso ricalcando fotografie di riviste superpatinate»; o, molto più spesso, per ragioni morali, dato che ne Il gioco (che pure non è un’opera pornografica) la gamma delle perversioni sessuali viene esplorata quasi per intero. Era forse inevitabile, quindi, che la scure della censura si abbattesse prima o poi sul licenzioso graphic novel (come oggi lo si chiamerebbe) manariano. Cosa che, a dire il vero, è già capitata in occasione di qualche recente ristampa. Ma francamente non ci saremmo aspettati che a privare Il gioco di tre tavole particolarmente hard (dalla 25 alla 27) fosse anche la pubblicizzatissima collana di «Corriere della Sera» e «Gazzetta dello Sport» che, appena approdata in edicola appunto con Il gioco, presenterà in venti volumi deluxe la produzione pressoché integrale del fumettista. E invece, non sappiamo se con il consenso dell’autore (ma immaginiamo di sì), dal tomo della Rcs mancano le tre pagine in cui una signora Christiani quanto mai infoiata non si perita di attentare alle virtù di un malcapitato ragazzino dall’età apparente di circa dodici anni. Si tratta di una sequenza molto forte, che sconfina nel territorio minato della pedofilia, ma il volume, com’è giusto che sia, è esplicitamente riservato a un pubblico adulto e, fino a prova contraria, un adulto ha il diritto di valutare un’opera dell’ingegno nella sua interezza, soprattutto se gli viene detto che ciò che ha acquistato è il primo capitolo di un’opera omnia. Alla Rcs, invece, e senza avvertire nessuno (è questo l’aspetto più antipatico della faccenda), hanno deciso di trattare i propri lettori come se fossero tutti minorenni. Come se quello di Manara - ci si conceda il calembour - anziché da adulti fosse un Gioco da ragazzi.
*Articolo tratto da “Libero” del 27 ottobre 2013. Per gentile concessione dell'autore.