- Categoria: Critica d'Autore
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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Monolith - il film: Recensione e Analisi
di Lorenzo Barruscotto
(contiene – forse - spoiler)
Il nostro Lorenzo Barruscotto, titolare della seguitissima rubrica Osservatorio Tex, recensisce Monolith, il film coprodotto da Sky che vede l'esordio alla produzione cinematografica di Sergio Bonelli Editore. Il fim, distribuito in 200 sale, dal 12 agosto, giorno della prima, al 20 agosto ha incassato 265.808 euro per un totale di 39.827 spettatori per una media di poco più di 22 spettatori al giorno per sala sinora. Intanto se ve lo siete perso, la nostra Matilde Losani ha recensito anche il primo tempo del fumetto QUI.
Prima di iniziare è necessario fare una premessa anche se dovrebbe risultare scontata e superflua: quando si fa una critica, intendendo sia in modo positivo che negativo, di un'opera o di un lavoro ci si limita al risultato che si è toccato con mano o visto con i propri occhi e per lo meno per quanto riguarda chi scrive non include mai ed anzi non deve mai includere la mancanza di educazione o rispetto e neanche un attacco personale, men che meno insulti o coloriti epiteti in stile hooligan.
L'ironia e la satira allora non sarebbero più mezzi per farsi una risata ma tabù da censurare.
Inoltre dopo aver chiarito questo punto mi sento di esprimere la mia perplessità verso la reazione carica di risentimento, stizza ed oserei dire altezzoso odio nei miei riguardi da parte di un personaggio per altro "pubblico" per aver mosso dei dubbi riguardo l'infallibilità dello script. Quello che più stupisce è che chi lavora e vive con le parole non trovi mezzo migliore per ribattere o difendere il proprio operato che il sarcasmo sfociando poi nell'insulto diretto quando ci si trova in disaccordo, additando l'interlocutore come "del tutto privo di capacità di comprensione del testo", "incapace di sostenere un contraddittorio", "dotato di una palese pochezza di pensiero" e tanto per non farci mancare nulla "spregevole" nei comportamenti.
Mi sono solamente rifiutato di passare la giornata continuando a rispondere a chi chiaramente non aveva alcuna intenzione di parlare in modo aperto e pacato, mascherando con finta gentilezza un tono strafottente e superiore. Insomma, ho semplicemente deciso di lasciar perdere applicando il metodo di Virgilio: "non ti curar di loro ma guarda e passa". Non ha funzionato.
Mi rendo conto che non posso risultare simpatico agli interessati esprimendo un giudizio negativo, del tutto personale,ma mi auguro comunque, ricordando che nel nostro Paese esiste la libertà di pensiero, che il tiro al bersaglio non continui poichè la brutta figura non la fa mai l'insultato ed in ogni caso, pur comprendendo la delusione per la scarsa risposta del pubblico che evidentemente non ha, proprio come me, capito nulla non solo del film ma proprio in generale, non serve arrabbiarsi in tal modo.
Il carattere e la maturità si dimostrano nelle avversità, dicono i saggi.
Io, e sottolineo io, non sono un professionista del settore, ma solo una piccola, innocua ed umile formichina a cui è stata data la possibilità di dire la sua e che non dovrebbe rappresentare un problema per chi è un gigante...
Tutto questo è accaduto dopo aver scritto la recensione che quindi non è stata influenzata da eventuali cupi stati d'animo.
Cioè la pensavo così anche prima. Ma ora veniamo alla nostra analisi.
Ci sono film che sono destinati alla gloria, ci sono film che rimangono impressi nella mente e nei ricordi degli spettatori per anni, per decenni ed ogni volta che, anche a distanza di molto tempo, capita di poterli rivedere suscitano emozioni nonostante si conoscano perfettamente ogni scena ed ogni parola. Ci sono film che indipendentemente dal budget sono diventati dei cult o che hanno fatto scoprire al mondo il talento e la bravura di attori e registi. E poi c'è “Monolith”…
Per spiegare al meglio le caratteristiche del film non è possibile evitare di citarne alcuni passaggi sebbene non possano essere considerati veri spoiler dal momento che la trama è raccontata in ogni trailer e non farò alcun accenno alla reale conclusione della vicenda.
Presentato come un thriller dalle connotazioni drammatiche, risulta essere l'opposto di ciò che i suoi autori avevano in animo di realizzare. L'idea non sarebbe poi neanche tanto male, per quanto non si possa oggettivamente affermare che si tratti di una pensata del tutto originale.
Intendiamoci: una macchina super-tecnologica, nera, parlante… non vi fa venire in mente niente? Alzi la mano chi tra voi non è corso con il ricordo neanche per un secondo alla leggendaria serie tv “Knight Rider”, Supercar in Italia, con la mitica auto parlante KITT, lei sì capace di fare di tutto, anche molto più di quello che ci si aspetta, dal guidarsi da sola al saltare muri ed ostacoli di ogni genere, piena di gadget ma soprattutto in grado di interagire praticamente alla pari con il suo pilota.
Già, infatti la “nostra” macchina futuristica almeno in un primo momento sembra dotata di optional all'avanguardia: si presenta, chiede il nome del guidatore e lo memorizza, addirittura conosce il peso di tutti i passeggeri che si sono seduti nell'abitacolo e li distingue proprio dalla variazione dei chili, indovinando se chi si trova al volante è una donna e se c'è un bambino sul sedile posteriore.
Il fatto è che questa appare essere sostanzialmente una delle due o tre sole capacità dell'intelligenza artificiale che governa l'automobile, la quale inoltre risulta simpatica quanto un mal di denti mal curato .
A questo proposito è necessario sottolineare come l'espressione di curiosa simpatia che si manifesta sul volto degli spettatori quando leggono “Sergio Bonelli Editore” all'inizio dei titoli di testa si tramuti man mano in una smorfia di stupita sorpresa, la stessa di quando un brutto giorno ci si accorge di iniziare ad accusare il famoso mal di denti.
Visto che l'auto è nera e considerato il titolo si tratta espressamente di una citazione di “2001: Odissea nello spazio” per quanto la pellicola non abbia nulla a che vedere con il capolavoro di Kubrick. E neanche tanto meno con altri film basati su automobili, come ad esempio “Duel” di Spielberg, per fare il nome del primo che passa.
I cult a basso costo si possono realizzare, non è il budget a giustificare un flop, basti pensare anche ad esempio a “La Casa” di Raimi, idea creata da tre scatenati compagni di stanza al college.
Un'altra chiamiamola “coincidenza” invece è, volutamente o meno, chiara: l'intelligenza artificiale si chiama Lilith. Non basta cambiare una Y con una I per non far pensare alla vera e sola Lilyth, figlia del Capo Navajo Freccia Rossa e compianta moglie di Tex Willer.
Da lettore bonelliano, sapendo tra l'altro che esiste un'altra testata con lo stesso nome presso la Casa editrice e dal momento che uno degli autori è una personalità di un certo calibro nella stessa sede, mi permetto di affermare che si poteva fare uno sforzo per chiamare il computer di bordo con un altro nome, poiché la citazione non è neanche delle più riuscite, inserita nel contesto generale. Diventa invece ridotto ad una banalità nell'ipotesi che il nome abbia delle connotazioni di natura biblica.
Ma per gli stessi motivi probabilmente è già una fortuna che il bambino condannato a restare intrappolato all'interno dell'auto si chiami David e non Dylan…
La trama consiste dunque nel fatto che il figlio della protagonista rimane chiuso dentro la macchina e sua madre, Sandra, deve fare di tutto per tirarlo fuori prima che sia troppo tardi.
Per aggiungere maggior pathos alla vicenda il bambino soffre di asma. Non basta?
Una volta arrivati a destinazione, dopo cinque minuti dall'inizio del film, originariamente il piano era infatti fermarsi qualche giorno a casa dei nonni, Sandra, terribilmente sospettosa nei confronti del marito che crede la tradisca, riparte improvvisamente dal cortile dell'abitazione dei suoceri (che neanche escono dalla porta) per fare una “sorpresa” al presunto fedifrago.
Siamo venuti a sapere infatti poco prima dell'esistenza di un altro avveneristico optional della macchina nera: le videochiamate.
Non importa che sia pericolosissimo distogliere lo sguardo dalla strada quando si guida, in realtà lo spettatore deve fare attenzione affinando l'udito, poiché un particolare unisce le due telefonate che la protagonista effettua, al marito intento a prepararsi per un appuntamento di lavoro o per lo meno così lui afferma, ed a una sua ex collega (Sandra faceva parte di un gruppo di cantanti pop anni addietro), impegnata… beh per citare Carlo Verdone in un famoso film, impegnata a “fare le scale”.
Un tocco di classe che a tutti in sala fa grattare quel punto della testa che di solito inizia a prudere quando si è perplessi.
Al fine di evitare un ingorgo causato dal traffico, per raggiungere Los Angeles viene chiamata in causa proprio Lilith che ricalcola la traiettoria: la strada deve passare per centinaia di miglia attraverso una zona perfettamente sicura quando si viaggia da soli con un bambino: il deserto del Mojave in California.
Miglia e miglia di sterpaglie e sabbia battute dal sole dove dimorano unicamente scorpioni e serpenti a sonagli.
Beh, a dire la verità questo è quello che ogni buon lettore del già citato Tex pensa, ma in realtà nel film si scopre che il deserto è abitato da altri animali: infatti il fulcro del problema narrato dalla trama è che Sandra va a sbattere contro un cervo che attraversa la strada!
Di primo acchito sembrerebbe quasi che l'animale investito fosse addirittura un alce per via di corna che per un attimo sembra di scorgere e mole, ma anche un cervo rappresenta comunque un incontro piuttosto raro in quel frangente.
Che i cervi esistano in quella regione può essere vero anzi dal momento che lo affermano gli autori certamente lo è ma non coincide con ciò che tutto il mondo si aspetta di vedere. Rispetto ad uno spettacolare colpo di scena appare più che altro un colpo a salve.
Senza considerare che la super-intelligente Lilith non solo non frena automaticamente per evitare l'incidente ma neanche apre bocca per avvertire della collisione imminente. Cosa alquanto strana dal momento che in un altro punto del film, diciamo un'oretta dopo, come se fosse sotto l'effetto di un qualche reset o di un tecnologico doping si risveglierà facendo ruggire il proprio motore quasi in un rigurgito di orgoglio e non farà altro che ripetere nell'unico minuto di attività del film, “collisione” ad un ritmo che ricorda vagamente quello della musica del gioca jouer.
(Ma in questo caso i più accaniti sostenitori del film sicuramente argomenteranno che cambia la modalità di guida dell'auto, un po' come accade nei moderni SUV, quindi quest'ultima considerazione è detta puramente a titolo personale.)
Rimane il fatto che alce o cervo che sia, fermandosi un secondo a pensarci, lascia perplessi la presenza di un tale quadrupede in pieno deserto, anche perché per tutto il film non c'è neanche l'ombra di un piccolo ma credibile serpentello.
Prima di tornare a cuocerci la zucca sotto il sole è d'obbligo fare un passo indietro ed analizzare la figura della protagonista.
Interpretata dall'attrice Katrina Bowden, Sandra non è quello che si può definire un esempio di madre modello. Su questo punto probabilmente gli autori volevano farla apparire come una donna in un certo qual modo impreparata al suo ruolo ma che attraverso la terribile prova che deve affrontare diventa matura ed abbraccia completamente la sua condizione di mamma.
Il fatto è che anche senza restare bloccata nel deserto la protagonista risulta una madre terribilmente irresponsabile: per quale motivo si compra un enorme sacchetto di biglie di metallo ad un bambino di due o tre anni e quando lo si vede armeggiare con una di esse tentando di metterla in bocca non si inchioda terrorizzati per togliere il pericoloso gioco dalle sue piccole mani ma anzi si esita restando a guardare la scena nello specchietto retrovisore?
O ancora perché in California, sotto un sole che potrebbe cuocere un uovo su una roccia, per quanti capricci possa fare il figlio che per altro prima indossa abiti normali e consoni alla zona ed alla stagione, lo si veste con un costume da orsetto, peloso e caldissimo al solo vederlo, che causa un aumento della sudorazione perfino agli spettatori in sala, nonostante l'aria condizionata del cinema?
No, sul serio, perché?! Per entrambe le situazioni l'inedeguatezza che può emergere nell'animo della donna non giustifica un comportamento insensato per non dire di peggio.
Tralasciando il fatto che lo stesso bambino ha notevoli capacità di escapologo poichè nel giro di due secondi non solo sparisce rapidissimo dal controllo della madre, cosa plausibile e che chiunque abbia un figlio piccolo può confermare, ma, non visto neanche dal commesso del negozio, addirittura viene ritrovato fuori dal supermercato in cui si trovava, dentro un'altra auto situata nel parcheggio e distante non poco dall'ingresso.
Sempre senza dire una parola nonostante i suoi presunti due anni.
Inqualificabile da parte della mamma, se questo breve elenco non fosse ancora sufficiente, il fumare una sigaretta, “solo una sigaretta per distendere i nervi”, in presenza di un bambino, il suo bambino, ed incomprensibile la reazione di Lilith che si attiva come se fosse in presenza di una foresta in fiamme. “Aprire i finestrini e spegnere la sigaretta” avrebbe avuto un suono più credibile come frase programmata rispetto a “Evacuare il veicolo”.
Sarebbe proprio il caso di protestare con la casa di distribuzione.
A questo proposito, parlando della fabbrica che produce le Monolith, il massimo momento di suspense lo si vive appena iniziata la pellicola. I tre minuti in cui viene presentata l'auto da parte di quello che probabilmente vuole essere uno dei progettisti nella finzione cinematografica, lasciati in inglese con i sottotitoli creano davvero un momento di apprensione: “Per tutti i diavoli, che abbia preso il biglietto per la proiezione in lingua originale?”
Non è ben chiaro se si sono semplicemente dimenticati di doppiarlo o se è la “zampata” del regista o degli autori per sottolineare quanto Monolith-macchina sia avanti e quindi farlo dire in inglese dovrebbe “colpire” maggiormente. In realtà se si voleva far apparire l'intelligenza artificiale dell'auto come qualcosa di “straniero” e quindi lasciare in lingua originale l'ingegnere che ne parla, non sarebbe stato più logico ad esempio farlo giapponese, facendo presumere che dal regno del Sol Levante e della tecnologia all'avanguardia sia stata partorita anche questa nuova idea di guida “sicura”?
Il modo in cui viene presentato invece appare solamente come una parte di film priva del doppiaggio, mascherata da “reale documentario” o “reale intervista” ma poco azzeccata.
Un'ultima cosa: se il controllo di qualche attività tecnologica è regolato da una applicazione nel cellulare, non è la mossa più intelligente del mondo usare lo stesso cellulare come baby-sitter per far restare buono il piccolo orsetto mentre si guida. A dire la verità non apparirebbe una buona soluzione neanche se si trattasse di un telefonino senza app poiché basterebbe un minuto per rischiare di vedere quello che agli occhi di un bambino è ovviamente solo un “giocattolo sbrilluccicoso” rotto o quantomeno in comunicazione con l'Australia. Inoltre vedendo il bambino armeggiare con il telefono si capisce praticamente subito cosa sta per accadere.
Tornando tra le roventi rocce del deserto, un ulteriore punto di domanda che appare sulla testa dello spettatore è perché diavolo Sandra esce dall'auto dopo la collisione con il cervo, di notte, lasciando la portiera aperta ed il figlio inchiodato ad un seggiolino che ha più cinghie di un paracadute.
Di sicuro per quanto possa dispiacere aver investito un animale, visto che la macchina è tra le altre cose indistruttibile, anche questa scelta appare quantomeno opinabile.
Sicuramente non è necessario scambiarsi i dati dell'assicurazione o fare la constatazione amichevole, quindi per dirla in due parole anche se possono suonare brutali: marcia indietro e aggiriamo la carcassa.
Anche perché non avendo armi, la donna non scende certo per dare il colpo di grazia alla povera bestia che resta agonizzante incagliata nel muso dell'auto. L'impressione è che certi fatti accadano solamente perchè devono accadere al fine di arrivare ad un nuovo step nella storia.
Non vi dirò in che modo David rimane chiuso all'interno ma vi basti sapere che per essere un bambino sui due anni, forse tre, che è già in grado di giocare con un minigame sul cellulare, diventa improvvisamente incapace anche solo di mettere insieme qualche parola o di ripetere un semplice gesto e, per lo meno in un primo momento, non perché è spaventato. E' una caratteristica del piccolo alternare attimi di apparente brio a lunghi momenti di quasi completa apatia.
Inizia così la parte più drammatica del film, quella che dovrebbe rappresentare la lotta tra uomo e macchina, tra l'ingegno umano ed un cervello fatto di cavi e microchip.
E l'ingegno cosa suggerisce alla preoccupatissima mamma? Iniziamo col farci una canna, sdraiati sul cofano.
Senza raccontarle in rigoroso ordine per non privarvi del piacere di scoprirle in sequenza voi stessi, non posso esimermi dal citare alcune scene tra i vari tentativi che Sandra mette in atto per riuscire ad avere ragione delle portiere ermeticamente chiuse.
(Un commento in sala quando sono andato a vedere il film sembrava avermi letto nel pensiero poiché anche a me era tornato in mente quel particolare: KITT aveva la maniglia che leggeva le impronte digitali del suo guidatore e si apriva unicamente a lui.)
Quindi macchina super-sicura mica tanto, visto che Lilith da questo momento in poi non si fa più sentire. Probabilmente Katherine Kelly Lang, la Brooke di “Beautiful” nonchè voce della macchina nella versione originale, doveva essere stata colpita da una grave raucedine…
Non nego che sarebbe stato accattivante una sorta di dialogo tra l'umana e la macchina, tra la disperata angoscia dei sentimenti e la fredda logica del computer ma in realtà la sola comunicazione messa in atto è rappresentata da inutili sprangate sulla carrozzeria sferrate con una grossa chiave inglese.
Dove Sandra è riuscita a procurarsi la chiave inglese? In una sorta di centrale elettrica chiusa, situata nei paraggi, in cui si è introdotta per cercare aiuto.
Dopo diverse ore sotto il sole, la madre è costretta a lasciare il figlio per cercare dell'acqua e trovare un eventuale modo per segnalare la propria presenza. Si ritrova così presso l'aeroporto dismesso chiamato Airport One. Stavolta concedetemelo: possibile che nessuno abbia potuto inventare un nome migliore, che non scimmiottasse l'Air Force One per altro?
Perfino “California Orio” o “Caselle Desert” sarebbero stati più azzeccati…
L'unico aeroplano rimasto parcheggiato non presenta niente di utile anche se Sandra fa comunque il pieno saccheggiando il minibar e scolandosi tutte le piccole bottigliette di liquore rimaste lì, non si sa da quanto tempo.
Sapete com'è, nel deserto, con le labbra spaccate dalla sete, dopo una canna, un goccetto è quello che ci vuole.
Grazie al suo fedele accendino e probabilmente ad una bottiglietta di vodka superstite riesce a dar fuoco ad un mucchio di copertoni, residui di ruote per i carrelli degli aerei, sperando che qualcuno veda il fumo. La nera e densa colonna non viene scorta da anima viva, ma se questo sia plausibile o meno lo lascio giudicare a voi.
Riesce però a fare scorta di acqua grazie ad una tanica di plastica come quelle che si trovano in alcuni uffici, dove si preme un bottone per avere il bicchierino riempito, dopo essersi abbeverata presso un provvidenziale ruscello. Il fatto è che tutto il prezioso liquido, una volta tornata all'auto, viene da lei volontariamente versato sul tettuccio della macchina in uno stupefacente tentativo di rinfrescare il figlio che ormai giustamente boccheggia sul punto di svenire all'interno dell'abitacolo, imbragato nel seggiolone e sempre vestito da orso.
Non ho usato la parola stupefacente a caso. Dopo la marijuana ed il whisky, versare così tutta la tua acqua nella speranza di dare sollievo ad una persona seduta in un'auto diventa perfettamente logico.
Senza sottolineare il fatto che la super-intelligente e tecnologica Lilith non si sogna nemmeno di attivare qualche dispositivo di refrigerazione come l'aria condizionata né di abbassare un po' i finestrini.
La disperazione e la stanchezza fanno crollare la madre che si accascia a bordo strada.
Improvviso e montato come se fosse tagliato con un colpo d'ascia arriva lo stacco: Sandra ed il marito giungono sul posto. Dapprima non si capisce se si tratti di realtà o finzione e come lei sia infine uscita viva dal deserto.
Le ipotesi di eventuali salvataggi grazie al segnale con i copertoni bruciati si susseguono nella mente dello spettatore ma vengono interrotte da un paio di dettagli.
Una fuoriserie nera, tutte nere le macchine in California, è l'auto utilizzata dai due per giungere sul posto, povere sospensioni, e finora non si sospettava che avessero tali disponibilità economiche ma d'altra parte lei era una ex pop star ed il marito un produttore musicale quindi ci può stare.
Il vero interrogativo è perché lei vada a rendere omaggio al figlio apparentemente morto nel deserto vestita e truccata come una spogliarellista, ancora più bionda ed ossigenata di quanto non sia normalmente, se non addirittura con una parrucca. Guardare per credere.
In realtà non è il finale ma solo la sua coscienza che la incolpa della situazione (e ne ha ben donde). E quindi possiamo dire “sogno mio, auto ed acconciatura come voglio io”.
L'agonia non è ancora terminata. L'agonia del piccolo David, voglio dire...
Attirato dall'odore del sangue del povero cervo compare quello che vorrebbe e dovrebbe essere un coyote. Finalmente un giusto abitante della fauna della zona!
Terrorizzata, la donna cerca in tutti i modi di sfuggire alle fameliche zanne e noi riusciamo a vedere più da vicino l'animale. Niente da fare: infatti sarebbe stato più corretto dire “avrebbe dovuto essere un coyote”: non si tratta né di quello, né di un dingo.
Per lo meno non di un esemplare classico. Appare invece molto più verosimile, volendo dire una facile cattiveria per strappare un sorriso, che si tratti del cane del regista o di qualcuno della troupe, infilato in scena per aumentare ulteriormente la tensione. Ma nulla nel film coincide con le idee immediate che solitamente catturerebbero l'immaginario collettivo e quindi questo risulta coerente con altri momenti della storia. Una certa originalità potrebbe comunque anche essere un punto a favore.
In ogni caso, una volta azzannata la carcassa del cervo da parte dell'inferocito Fido, forse per l'impeto beluino, la macchina si disincaglia e noi scopriamo che finora è sempre stata in discesa, vicino ad un burrone.
La povera Sandra cerca con tutte le sue forze di opporsi al lento ma inesorabile scivolare dell'auto verso la scarpata finchè un provvidenziale sasso ci mette una pezza.
L'urlo della madre messo in atto come ultima risorsa per spaventare il “coyote” e contrastare il suo ringhio è lo stesso che ogni spettatore in sala ormai sente riecheggiare nella propria testa pensando ai soldi del biglietto.
Come soluzione per risolvere la situazione la donna escogita una trovata che non vi svelo ma vi anticipo che si trasforma in una piccola She-Hulk non verde riuscendo a spostare i molti quintali della Monolith, anche se bisogna ammettere che la discesa in questo caso torna utile.
E' ciò che avviene dopo, ad opera della rediviva macchina che lascia molto, molto perplessi.
(Non venitemi a dire che è la classica situazione in cui una madre vedendo il figlio in pericolo trova forze e risorse che in situazioni normali non penserebbe neanche di possedere).
Ci sarebbe ancora parecchio da dire e disquisire in merito al finale ma non intendo rovinare la visione raccontando proprio la conclusione della storia.
Si salveranno? Riuscirà David ad uscire dalla macchina e soprattutto da quell'assurdo costume?
Si scoprirà se il marito è davvero un traditore? La macchina tornerà a dire qualcosa?
Lungi da me atteggiarmi a professorino, prima di giungere alla conclusione di questo lungo articolo, mi permetto però di fare una breve digressione in merito alle ustioni ed alle scottature da colpo di calore. Restare senza acqua o protezioni sotto il sole in un deserto non è come prendersi una scottatura al mare, soprattutto se l'esposizione non è di breve durata.
Per non parlare di quanto maggiori e pericolosi siano i danni su soggetti più sensibili come i bambini. Già nel giro di 24 ore quindi si osservano febbre alta, reazioni da vere e proprie ustioni quali bolle che possono esporre a rischi di infezioni, convulsioni e svenimento.
La disidratazione può essere accelerata dal consumo di alcolici, tra l'altro.
Questi sono solo i sintomi più evidenti e non si può rimediare nel giro di qualche ora.
Di sicuro i bambini molto piccoli non tornano vispi come se nulla fosse, e se succede, accade solo dopo qualche giorno. Sono necessari metodi di raffreddamento esterni ed a volte addirittura interni, non basta una piccola flebo. Tralascio di andare troppo nel dettaglio non soffermandomi sui possibili danni ad organi vitali quali reni, cuore e cervello.
Quando si presenta un film come Monolith predicando di aver fatto molta attenzione alla credibilità, si dovrebbe far caso anche a questi dettagli, che tanto dettagli non sono. La presenza anche solo di una bottiglia d'acqua comprata nel famoso supermercato in vista del lungo viaggio avrebbe già costituito un elemento di notevole contatto con la realtà.
Come direbbe un certo vecchio ranger dal pizzetto bianco: più si sale in alto e più rumore di fa cadendo.
Non volendo essere negativi a tutti i costi appare quanto meno sorprendente come il piccolo David riesca a sopportare una tale situazione senza accusare apparentemente neanche troppi disagi: come promesso non vi voglio dire altro ma, indipendentemente dal rigore clinico, l'ultima scena vi stupirà.
D'altra parte in tutto il film neanche per un attimo l'asma di cui il bambino soffre ha costituito un problema: prima di restare chiuso nell'auto doveva fare uso di un inalatore ma è sufficiente che la mamma, che lui si ostina imperterrito (per lo meno dall'inizio fino a… non ve lo dico) nei rari momenti in cui parla a chiamare per nome come fa Bart Simpson con Homer, affermi che deve “solo respirare con calma” per farlo miracolosamente guarire senza neanche più un timido colpo di tosse, figuriamoci una crisi respiratoria causata dal panico per essere rimasto chiuso dentro.
Questo film è nato come thriller ma in realtà potrebbe avere un certo successo come pellicola comica.
Presenta delle falle nel racconto a dir poco spaventose, intere scene rimangono inserite nel continuum della storia come un pezzo di un puzzle incastrato a forza, inconcludenti e del tutto inutili ed inutilizzate, i buchi nella sceneggiatura appaiono per chi vi scrive enormi come voragini.
Non si tratta di fare l'hater a tutti i costi, basta guardare il film con un occhio neanche troppo critico.
E ve lo dice, a malincuore, un texiano doc, cioè un lettore di Tex verace e quindi profondo ammiratore di e della Bonelli.
Cosa c'entra la mitica Casa Editrice? Questa storia è legata a doppio filo al mondo dei fumetti. L'idea di base è frutto di Roberto Recchioni, attuale curatore di “Dylan Dog” e creatore di “Orfani”, e realizzata su carta in due volumi dallo sceneggiatore Mauro Uzzeo e dal disegnatore Lorenzo Ceccotti. Questi ultimi hanno anche partecipato alla realizzazione del film in veste di co-sceneggiatore e curatore delle scenografie. Il progetto era ambizioso ed avrebbe meritato maggior fortuna anche perchè non si è trattato di una trasposizione cinematografica di un “giornalino” ma è stata proprio concepita una sorta di realizzazione parallela tra fumetto e cinema, tra carta e pellicola.
Ceccotti oltre a collaborare allo storyboard si è anche occupato della creazione della macchina cercando di renderla moderna e plausibilmente reale, ma purtroppo il risultato è una sorta di mix tra un fuoristrada ed una Multipla nera con i cerchioni ricoperti anch'essi di materiale di colore nero, che va su tutto, e le luci degli stop posizionate in modo diverso.
Sono diverse e non insignificanti anche le differenze tra fumetto e film, come ad esempio il modo di riferirsi all'intelligenza artificiale e la stessa interazione tra passeggeri e macchina che quindi portano a diversi percorsi narrativi per giungere allo stesso punto, come la chiusura ermetica delle portiere. Il film, che vede come regista Ivan Silvestrini, è stato prodotto da Sky Cinema, Lock & Valentine e Sergio Bonelli Editore.
Un esperimento unico e nuovo nel suo genere sulla cui falsa riga bisogna insistere aggiustando il tiro e che non deve essere considerato una strada chiusa nonostante la risposta finora scarsa del pubblico ed il risultato finale complessivamente non proprio all'altezza delle aspettative, per quanto gli autori lo considerino inattaccabile, e che non ha comunque solamente connotazioni negative.
Innegabilmente tutto il film si poggia sulle spalle della protagonista, la già menzionata Katrina Bowden, vista in alcune pellicole demenziali e horror o in qualche serie.
Una delle caratteristiche positive consiste infatti in una certa varietà espressiva da parte dell'attrice che riesce a far trasparire l'angoscia di essere isolata dal resto del mondo, chiusa fuori da ciò che capisce essere la “cosa” più preziosa della sua vita, vale a dire il figlio.
La notte è ancora più nera, quasi disegnata, fuori dall'auto che è comunque una difesa per chiunque si trovi al suo interno, purché la si sappia usare. Ed una certa tensione si percepisce nel momento in cui la donna decide imprudentemente di uscire dall'abitacolo, quando la sola luce è quella dei fari e nel fitto buio che la circonda possono esserci mille pericoli in agguato pronti a ghermirla.
Durante le scene diurne invece anche noi sentiamo caldo e la gola diventerebbe come rivestita di carta vetrata se non avessimo accanto una provvidenziale bibita, un po' per la rovente ambientazione che coinvolge lo spettatore ed un po' per qualche risata che scappa in almeno un paio di punti della storia specialmente avendo la fortuna o la sfortuna, decidete voi, di trovare sconosciuti compagni di sala che la pensano al nostro stesso modo.
La credibilità e la logica latitano in alcuni passaggi del film stridendo un po' con le affermazioni a tratti quasi pompose degli autori o di chi trova il risultato incomprensibilmente un perfetto capolavoro. Non si tratta di scrivere “solo” il soggetto o “solo” la sceneggiatura.
Nè men che meno di voler trovare “solo” difetti.
Questo articolo non rappresenta assolutamente una critica personale ma è una semplice disamina di ciò che si è visto al cinema. E senza dubbio nella vita ci sono cose molto più importanti a cui pensare e su cui discutere, quand'anche si stesse parlando di un masterpiece da Oscar.
Si tratta per lo più di osservazioni oggettive comunque, anche se ammantate di un velo di ironia.
E' l'impalcatura generale che purtroppo fa pensare ad una sorta di ciambella senza il buco, ad un volere non potere realizzato in modo più posticcio e raffazzonato di quello che il progetto originale meriterebbe.
Tutte le sfaccettature sui discorsi del rapporto tra uomo e macchina, tra le libertà personali sacrificate a discapito della sicurezza, le varie metafore sull'uso eccessivo della tecnologia che invade la nostra vita diventano solamente un pallido sfondo meno sentito e meno incisivo ancora della sostanzialmente scarsa colonna sonora, che invece sappiamo essere oramai una parte fondamentale per dare alle scene di un film corpo ed importanza.
L'autore del soggetto dissertava non più di un mesetto prima dell'uscita nelle sale del film, avvenuta il 12 Agosto, con una spiegazione degna dei decani dell'Accademia della Crusca, sull'ultimo Dylan Dog, riguardo le differenze tra team-up e cross over presentando la storia che vede l'indagatore dell'incubo e Dampyr uniti contro un nemico comune, avvalendosi del primato di aver ideato una storia sviluppata su due albi di diverse testate. Verissimo.
Però una sorta di giustificazione lessicale fin troppo sottolineata i cui modi di lettura possono essere duplici.
Il primo consiste nell'essere d'accordo senza remore ed il secondo include il maligno pensiero che potrebbe essere un aiuto ad una delle due suddette testate per risollevarsi "costringendo" i lettori a comprare anche la metà dell'albo a cui si potrebbe non essere interessati, al fine di avere la storia completa.
La novità sta proprio e solo in questo stratagemma editoriale, comunque diversa, bella e singolare idea secondo chi vi scrive, ma di sicuro non è certamente la prima volta che personaggi Bonelli si incontrano insieme sebbene l'abbiano sempre fatto “a casa” di uno dei due temporanei alleati.
Anche per il film accade qualcosa del genere, una sorta di innovazione che è tale solamente per la forma in cui è proposta.
Ed infatti a chi argomenta che è comunque un grande risultato per il cinema italiano si può dare sia ragione che torto. Senza dubbio è un lodevole tentativo, un passo in una direzione nuova e moderna, che finalmente e fortunatamente si discosta dalla moda di certi film come i cosiddetti cinepanettoni, sebbene per lo meno quel genere di pellicola tenti apertamente di strappare risate al pubblico, ma se si vuole creare un prodotto italiano per rilanciare il nostro cinema allora che sia tutto italiano: location ed attori compresi.
A dicembre, quando il sole cocente sarà stato sostituito da un manto di candica neve, non lamentatevi troppo se non vi saranno arrivati tutti i regali che avete chiesto.
Babbo Natale quest'anno si ritrova con una renna in meno e quindi ci potrebbe mettere più tempo del previsto: in estate una certa macchina nera nel deserto ha investito Rudolph.