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Becchi(gialli) e becchini
La rubrica più politicamente scorretta del fumetto italiano. Appunti di viaggio nel mondo del fumetto, attraverso i suoi protagonisti e l’informazione di settore. Eccezionalmente di sabto postlucchese.
Becchi(gialli) e becchini
di Giorgio Messina
L’anarchia per erbe bollite di Spari d’inchiostro – al secolo Paolo Intedonato – induce ancora lo pseudocritico a continuare a sostenere imperterrito che il libro fasullo su Amy Winehouse, da lui creato e da lui stesso attribuito a Beccogiallo (leggi QUI) è un tentativo di satira. Ma l’Interdonato/Spari, sparandola sempre più grossa, mentre scivola grattando sul vetro (è lo stridere che fa rumore, non la sparata), in un barlume di involontaria lucidità, scrive:
«Tra chi racconta storie, c’è un sacco di gente che si alimenta di morti. Non è un male in assoluto: i morti sono più dei vivi e hanno già vissuto un sacco di storie. Ma questi che mangiano cadaveri raccontando storie non lo fanno mica per godimento e non lo fanno neanche per raccontare storie. Questi tipi sentono di avere una missione, hanno visto la luce: vogliono prendere una chiara posizione sociale e raccontare (a me e a te) il mondo attraverso il messaggio della loro storia. Il messaggio, il contenuto, il fatto… A me e a te che in quel mondo ci viviamo e vorremmo un racconto, mica un messaggio.»
Insomma, Intedonato sparando nel mucchio riesce involontariamente pure a centrare il bersaglio giusto. Ovvero: il problema di Beccogiallo non è la linea editoriale dell’editore ma sono (alcun)i (dei suoi) autori.
Mi permetto quindi di fare eco all’Interdonato-pensiero-che-ci-ha-preso-per-caso usando un commento del giornalista Filippo Facci rivolto al Giudice Ingroia per palesare ancor di più che il problema di molti autori Beccogiallo è quello di essere «tutti campioni di sfruttamento politico ed editoriale di una cultura dietrologica, emergenziale, fatta di fiaccolate, cortei luttuosi, alberi orrendi, parenti imbarazzanti, e appelli, video, urla, pianti, pugni battuti sul petto. È del cordone sanitario che» li «circonda che bisognerebbe parlare.»
A proposito. Interdonato è poco attento. Se una critica voleva fare ad Andrea Laprovitera, tirato da lui in ballo a sproposito insieme a Niccolò Storai, è che era un promettente scrittore di fantascienza prima di iniziare a fare libri su argomenti sessantottini. E va altresì notato che anche tra gli autori Beccogliallo, ce ne sono diversi che hanno iniziato la loro carriera nel fumetto con generi di intrattenimento come la fantascienza o il romance, per poi passare al sociale perché probabilmente era quello che si prestava più facilmente a essere utilizzato come “cavallo di troia” per avere le attenzioni di media, critica e pubblico. Cioè una vera e propria deriva del marketing del dolore, dell’antimafia e del sociale. In alcuni autori questo ha ingenerato anche un processo di “santonizzazione”, che potremmo chiamare anche il “complesso Gomorra di Saviano”. Il savianesimo d'accatto ha portati molti autori beccogiallini, non solo a parole, a diventare le vestali dell’illustre personaggio o del problema sociale che raccontano nei loro libri a fumetti. E da qui si è arrivato anche al punto di assistere ad autori come Marco Rizzo che crede, in nome del marketing antimafia, di potere addirittura indicare chi è degno e chi no anche solo di nominare quel Peppino Impastato protagonista del suo libro.
Un marketing antimafia che con Stassi e Di Gregorio, nel libro “Brancaccio”, è arrivato a pervertire persino il messaggio finale di Don Pino Puglisi, capovolgendo l’estremo sacrificio di un prete coraggioso che dalla mafia fu ucciso sul sagrato della sua chiesa perché non voleva abbandonare il suo quartiere. Nel finale del libro invece leggiamo una letterina strappalacrime del giovane protagonista che rivolgendosi a Padre Puglisi sogna invece di andare via lontano. Insomma invece di combatterla la Mafia è meglio andarsene da un'altra parte.
E ci sarebbe pure da ricordare quel Commissario Calabresi che nel libro “Piazza Fontana” è relegato alle note (forse) per non urtare la sensibilità della vedova Pinelli che ha collaborato alla documentazione dello sceneggiatore Francesco Barilli, che a sua volta non ha mai nascosto di essere anche amico della famiglia Pinelli.
O quel Carlo Giuliani tragicamente morto al G8 di Genova mentre assaltava una camionetta dei carabinieri a volto coperto e con un estintore in mano che sempre Barilli trasforma in un romantico ribelle contro il sistema. E qui mi viene da chiedermi: ma perchè invece Er Pelliccia che ha fatto la stessa cosa nei fatti dell'ultimo ottobre romano è invece considerato anche dalla stampa militante un mezzo cretino da cui prendere le distanze? Perchè non è morto con l'estintore in mano? Altrimenti ne avremmo fatto un ennesimo martire della ribellione? E non venitemi a raccontare che i blackblock, o come diavolo volete chiamare questi violenti sfasciatutto senza ideali, sono dei romantici ribelli.
Tornando a bomba sui becchini e becchigialli, non nascondiamoci dietro un dito, perchè in certi casi dal giornalismo a fumetti si è passati a vera e propria agiografia se non addirittura ad una riscrittura dei fatti ad uso e consumo più dell’autore che in ultima analisi dell’editore. Un meccanismo che trasforma gli autori in “intoccabili”, cioè incriticabili, perché chi critica loro è come se criticasse il tema sociale affrontato o i vari Peppino Impastato o Pinelli che sono protagonisti dei loro volumi. Una proprietà transitiva forzata questa tra autori, fatti raccontati e protagonisti che si allarga purtroppo anche all’editore. E ritorniamo così al punto di partenza. Il problema di Beccogiallo sono i suoi autori e non la loro linea editoriale. Come si risolve il problema? Con una maggiore attenzione editoriale.
A proposito. È curioso notare come l’edizione francese del volume dedicato a Peppino Impastato non presenta il nome dell’illustre defunto per mafia in copertina. Si intitola infatti solo “Mafia Tabloids”, sottotitolo “la storia vera di un giornalista contro la mafia”, ed è uscito a fine mese di ottobre 2011 per l’editore Ankama. E qui viene da chiedersi come funziona? Chi prima si lamenta di chi nomina Impastato senza il suo permesso è poi disposto a elidere addirittura l’illustre nome pur di pubblicare in Francia e dire di essere arrivati oltralpe, nell’El Dorado del fumetto europeo? Non è difficile ipotizzare che la spiegazione della scomparsa del nome di Peppino Impastato dalla copertina è sicuramente da attribuire ad una scelta di campo dell’editore francese, ma autori (ed editori italiani) non potevano cercare di imporsi per mantenerlo il nome in copertina? Suonerebbe abbastanza ridicolo che in Italia gli autori decidano chi deve nominare e chi no la buonanima dell’Impastato, vero gigante dell’antimafia quella vera, e poi invece si pieghino alle scelte di un editore francese nascondendo questo nome che ha fatto fumettisticamente la loro "fortuna". In fondo non lo ha prescritto il medico che il libro di Impastato dovesse uscire in Francia senza il nome dell’illustre defunto in copertina. Chissà il buon Peppino cosa ne penserebbe e cosa direbbe in merito dai microfoni della sua Radio Aut. Ah, saperlo.
A proposito, le prime recensioni francesi sul volume su Impastato senza il nome di Impastato in copertina non sono molto morbide. Segno che i francesi sono molto più obiettivi di noi quando si parla di antimafia? Chissà.
Ps: in dialetto palermitano “becco” vuol dire “cornuto”. E spesso Marco Rizzo, che è trapanese ma ha studiato e vissuto molti anni a Palermo, ha chiamato su blog e forum i tipi di Beccogiallo, che sono invece del Nordest, semplicemente “becchi”. Non so voi, ma io in questa cosa ci vedo una grande involontaria ironia che fa il paio con la satira sciacquata di Intedonato/Spari.
Pps: Nel frattempo c’è stata anche Lucca. Ne riparleremo. Ovviamente come solo questa rubrica sa fare…