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- Scritto da Giuseppe Pollicelli
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Spot, Comics e TV: intervista a Guido De Maria
di Giuseppe Pollicelli*
«Aspetti un attimo che m'infilo pure la seconda scarpa, ne ho una soltanto. Poi iniziamo a chiacchierare...». Esordisce così, Guido De Maria, quando gli telefoniamo per intervistarlo. Può apparire un avvio di conversazione eccentrico, ma chi conosce un po' la personalità di De Maria sa che in realtà è normalissimo: la principale caratteristica del nostro è infatti una lucida e simpatica bizzarria. De Maria è stato il protagonista dell'incontro intitolato "Fare fumetti, l'evoluzione delle matite. Dalla carta al digitale, dall'edicola al web, dall'editore al crowdfunding, com'è cambiato il mestiere del fumettista", svoltosi il 22 febbraio scorso, presso il Foro Boario di Modena, nel contesto dell'ottava edizione di Buk. Festival della piccola e media editoria. Essendo nato 82 anni fa proprio in provincia di Modena, De Maria ha dunque potuto ripercorrere la sua lunga carriera di creativo, pubblicitario e disegnatore di fronte a un pubblico particolarmente ben disposto. «Ho realizzato le mie prime vignette ai tempi del liceo, su un giornalino scolastico che si chiamava "Zero in condotta"», racconta. «Terminato il militare, sono andato alla redazione di "Epoca", a Milano, e ho fatto vedere una mia vignetta a Enzo Biagi. Mostrava una coppietta di russi intenta in un pic-nic e una lunga fila di formiche ormai prossima alle vivande. Lui fa a lei: "Lasciale avvicinare, sono formiche rosse!". A Biagi piacque e così iniziai a collaborare: lui mi avrebbe pubblicato una vignetta per ogni esame universitario dato. Se veramente avessi fatto tutti gli esami che ho detto a Biagi, ora avrei tre lauree...».
La sua carriera ebbe una svolta con l'ideazione, nel 1972, del programma Gulp!, poi divenuto SuperGulp! Fumetti in TV.
«Giancarlo Governi, allora responsabile dei Programmi Speciali della Rai, era rimasto molto colpito da un carosello realizzato nel 1968 da Paul Campani per la Zoppas: in un minuto e mezzo vi si raccontava una storia in cui delle immagini statiche venivano "animate" con carrellate, zoom e altri movimenti di macchina. Governi pensò che l'espediente si sarebbe potuto utilizzare per portare i fumetti in televisione e così, avendo letto e apprezzato le strisce delle Sturmtruppen sulle pagine di "Paese Sera", si rivolse a Bonvi, il quale creò assieme a me la serie umoristico-poliziesca di Nick Carter».
L'impatto della trasmissione fu deflagrante.
«Nel 1972, sul Secondo Programma (l'antenato di Rai 2), facemmo ascolti clamorosi. E all'epoca non veniva calcolato il pubblico dei bambini. Eravamo certi di proseguire subito l'esperienza, invece la Rai non aveva più una lira avendo investito un sacco di soldi nello sceneggiato-kolossal su Mosè interpretato da Burt Lancaster. Per ripartire dovemmo quindi attendere il 1977 e l'avvento alla presidenza della Rai di un uomo illuminato come Massimo Fichera. A quel punto andammo avanti alla grande fino al 1981».
Che tipo era Bonvi?
«Ero legato a lui da un rapporto fraterno. Gli si attagliava bene la definizione di "genio e sregolatezza", precisando che la sua era una sregolatezza piacevole, mai antipatica. Era un pazzoide divertente. Aveva una gran cultura cinematografica e amava soprattutto i film con Alberto Sordi, di cui sapeva citare quasi ogni battuta. La sua morte, nel 1995, è stata davvero una beffa atroce: investito a Bologna da un ubriaco, proprio lui che in vita sua non aveva mai disdegnato l'ebbrezza alcolica».
E Jacovitti?
«Il più grande disegnatore umoristico di tutti i tempi. Disegnava direttamente a penna, senza mai sbagliare nulla, scene affollate dei più strambi personaggi e inquadrate da prospettive arditissime. Era come se avesse un computer nella testa. Per non dire del suo humour surreale, ancora oggi insuperato. Se fosse nato in Francia o negli Usa oggi sarebbe noto in tutto il mondo».
*Articolo tratto da "Libero" del 22 febbraio 2015. Per gentile concessione dell'autore.