- Categoria: Osservatorio Tex
- Scritto da Lorenzo Barruscotto
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Un trittico speciale
Ritratto di Dennis Quaid nei panni di Doc Holliday nel film "Wyatt Earp"
e Tex in un tributo a TICCI.
Disegni di Lorenzo Barruscotto
Benvenuti a questo insolito appuntamento ricco di approfondimenti.
Abbiamo già analizzato più di un albo nella stessa chiacchierata: a volte si è trattato di una storia che ne comprendeva due, in altre occasioni menzionare un volume è servito come spunto per riflessioni o considerazioni di carattere più generale.
Stavolta riempiremo gli spazi vuoti, cioè ci occuperemo di tre albi speciali usciti nel corso dell'ultimo affollato periodo di pubblicazioni che sono già stati tutti chiamati in causa ma che non sono stati esplorati dal punto di vista meramente artistico né legato alla conformazione dei singoli formati.
Copertine dell'ultima ristampa e del volume originale di "A Sud di Nogales"
Partiamo da quello che fra i tre avrebbe potuto anzi dovuto costituire un vero gioiello, dal diamante che purtroppo ha rischiato di ritrasformarsi di nuovo in carbone: “A Sud di Nogales”.
Si tratta del cartonato a colori inserito nella collana “alla francese” che però non è un inedito ma una ristampa di una delle storie che nel tempo hanno acquisito un posto d'onore, ed a buon diritto, nella saga delle avventure dei Rangers.
La storia in origine era contenuta nel numero 199 della serie regolare di Tex, uscito per la prima volta nel lontano 1977. Nel corso degli anni c'erano già state almeno tre ristampe prima di quella di cui ci occupiamo ora, la quale ufficialmente risulta modernizzata ma che in pratica è stata piuttosto pasticciata. Ogni Texiano duro e puro fino al midollo conosce perfino le battute che caratterizzano alcuni passi della narrazione, dal momento che quest'opera è senza ombra di dubbio un altissimo esempio di arte sia dal punto di vista dei disegni che da quello della sceneggiatura. Non per niente gli autori di tale capolavoro si chiamano Giovanni Ticci e Gianluigi Bonelli. Per dirla in poche parole c'è tutto: azione, umorismo, tensione, valori tipici del modo di agire di Aquila della Notte e del West più classico quali coraggio contrapposto a vili macchinazioni, fratellanza tra le genti di diverse razze che viene difesa contro un inutile e bieco razzismo basato su preconcetti, onore, senso del dovere, valore ma anche codardia, viscidi serpenti che neanche si sforzano di travestirsi da colombe e lotte feroci tra buoni e cattivi, tra chi serve la giustizia e chi insegue solamente la propria cupidigia sulla pelle di molti innocenti.
Non mancano le sparatorie, gli agguati, le scazzottate ed il fraterno punzecchiarsi tra Tex e Carson che suscita l'ilarità da parte di Kit Willer ed anche del taciturno Tiger Jack.
Avremo a che fare con un ritmo incalzante, un'indagine nella quale pochi si oppongono a molti. Ma non dimenticate che quei “pochi” sono quattro fulmini scatenati come i Pards… perciò i beceri ghigni malefici che troppo facilmente si delineano sui brutti musi dei componenti della cricca di ignobili trafficanti che bisogna mettere in condizioni di non fare ulteriori danni capiranno sulla loro pelle che in certi casi specialmente alla Frontiera la matematica E' un'opinione.
Come accennato all'inizio si è già ampiamente parlato della per certi versi irrispettosa e per tutti i versi non necessaria maniera in cui in altre ristampe le vignette sono state rimaneggiate e pure reimpaginate per fornire un non ben precisato aspetto “evoluto” alla storia.
A parte il fatto che moderno non significa sconclusionato, qui non c'era alcun bisogno di cambiare qualcosa che si avvicinava alla perfezione. L'intervento apportato è equivalso ad affidare a qualche sedicente esperto il “restauro” di un quadro immortale come La Gioconda per poi scoprire che la cornice nuova è sbilenca e sono stati aggiunti alla Monnalisa dei baffetti a pennarello.
Per evitare che il senso di sconforto, misto alla mezza dozzina di punti interrogativi che in circostanze simili si formano sempre sopra le nostre zucche, torni alla carica non andremo nuovamente nel dettaglio per ogni sfreg… ehm, scusate, per ogni rivisitazione che il racconto ha dovuto sopportare ma enuncerò quelli già nominati insieme a qualche altro esempio che ho tenuto apposta per l'occasione.
Mappa iniziale di "A Sud di Nogales"
Ci siamo tutti chiesti il motivo della mancanza della grande ed accurata mappa in apertura, in quella che era la prima tavola, insieme al senso di tale mutilazione, visto che così la storia sembra iniziare di punto in bianco. Una scelta, fatemelo ribadire, proprio opinabile e ben poco ossequiosa nei confronti di una colonna tra i disegnatori che hanno lavorato e che lavorano per Tex: capisco che in seguito alla nuova impaginazione che si è deciso di utilizzare potesse risultare difficile mantenerla allo stesso posto ma eliminarla del tutto non è certo la strada migliore. Molto meglio in una pagina a sé, magari ingrandita. Tanto più, e qui il senso di sconforto arriva a livelli di guardia, che nell'articolo che segue la vicenda a fumetti il discorso è praticamente tutto improntato sull'aspetto geografico a partire dal titolo, rimarcando in un modo piuttosto privo di “mestiere” l'importanza del confine con il Messico e le zone dove siamo di casa.
Oltre ad un paio di constatazioni le quali non fanno presumere nulla di diverso da un dopo-sbornia da parte dell'autore di tale articolo e che si avvicinano a stralunate conclusioni personali prive di fondamento agli occhi di qualsiasi lettore appassionato, in tal modo si accentua, proprio sottolineandola, l'assenza della cartina, che per lo meno chi si accosta al cartonato per la prima volta poteva non accusare.
Avete presente la randellata che in certi cartoni animati si becca un personaggio dopo aver messo il piede sui denti di un rastrello? Ecco, la situazione è la stessa.
Ci sono molteplici punti oscuri anche osservando i balloons con i dialoghi: perché mai cambiare quello che il grande Bonelli, mica un pellegrino qualunque o che si spaccia per fine conoscitore di Storia o di fumetti e poi sbaglia date, nomi o si inventa cose quando non dovrebbe e viceversa, aveva creato deliziando generazioni di aficionados?
Inoltre… ehi, hombres, ma pensate che noi Texiani siamo rintronati? Cioè, qualcuno sì, ma mica tutti. Passare dal far pronunciare a Tex: “E noi, tra i due litiganti, facciamo la parte del proverbiale terzo!” a “E noi, tra i due litiganti, facciamo la parte del proverbiale terzo che se la gode.” non credete sia un'inconsistente variazione sul tema? Ci arrivavamo lo stesso, ve lo posso assicurare.
D'altra parte non solo il contenuto ma proprio la forma dei balloons è stata, con prevedibile ed inutile dispendio di energie e denaro, più volte mutata presumibilmente per “adattarla” meglio alle vignette, non saprei quale altra spiegazione fornire, sinceramente. Tra l'altro invece sono state mantenute le espressioni tipicamente dal sapore d'altri tempi come ad esempio quelle in cui certi termini hanno una U in più, come “giuoco”.
Quindi la logica degli interventi sfugge all'umana comprensione.
A questo punto è bene soffermarci su un paio di aspetti propri di una recesione.
Questa è una delle poche avventure in cui Piccolo Falco si identifica in modo autonomo come Ranger incaricato di una missione. Particolare non da poco, degno di nota perché tale sfumatura non era evidenziata spesso nelle storie non recenti mentre adesso si è cercato e si cerca ancora di offrire maggior spazio al giovane Kit ed alle sue personali peripezie.
C'è poi una peculiarità, guardando gli albi sia originali che ristampe dal puro punto di vista artistico, che ha confuso qualche appassionato ma che comunque colpisce ed incuriosisce: sembra che le mani al lavoro sui disegni siano due ma in realtà non è così. L'autore è sempre e solo Ticci. Il fatto è che questo racconto è stato completato in tempi molto diversi tra loro e quindi salta all'occhio l'evoluzione dello stile dell'artista. Infatti tra i Texiani ci si riferisce ai primi albi firmati dal mitico Giovanni come quelli “del primo Ticci” per differenziarli dal tratto forse maggiormente spigoloso ma sempre energico, dinamico ed inarrivabile delle tavole cronologicamente a noi più vicine. Uno degli ispiratori e dei maestri di Ticci è stato Alberto Giolitti, che i Texiani conoscono anche per il Texone “Terra senza legge” e proprio tale influsso si denota nelle vignette prima del passaggio ad un tono più maturo e navigato nell'uso delle chine.
Intendiamoci: "influsso" non significa "scoppiazzatura" come invece pare che alcuni autori moderni sembrino ritenere. Anzi, sono proprio i disegni di Ticci a fungere da ispirazione quando non si sanno che pesci pigliare o se si vuole tentare di prendere per il naso i lettori rifilando vignette già viste in nuovi contesti, in una sorta di non pregevole collage, giustificando tale azione col fatto che "si tratta di cose che accadono spesso". Ehm... Ma avremo modo di ritornare sull'argomento non una volta sola.
Il primo di questi cosiddetti stacchi si osserva da pagina 24 a pagina 25 del cartonato ma non è l'unico. Se si pensa ad albi come “Sulle piste del Nord”, che tra l'altro è diventato anch'esso palesemente un punto di riferimento anche per diversi artisti, come avremo modo di constatare più avanti, e lo si confronta con uno degli albi degli ultimi anni, uno su tutti “L'ultima vendetta”, il raffronto non è difficile da scorgere. Lo stile di un professionista che mette anima e corpo nel suo lavoro è in continuo divenire proprio come cambia la persona che regge le matite nel corso della vita. Anche il Fumetto si sviluppa, insieme e grazie all'opera del Maestro che lo crea.
Ovviamente il tentativo, maldestro e un po' fuori dal seminato, di “migliorare” l'eccellenza non si riduce ai soli esempi che ho portato ma è sempre presente, come se si trattasse di una spolverata che è andata a posare i suoi svolazzanti granelli praticamente dappertutto. Carson in una scena non dice più: “Si sono decisi a mettere fuori il naso, gli amigos!” ma “...gli amici!” in uno slancio di italianità, evidentemente.
Fino all'ultima pagina chi ha messo le mani sulla sceneggiatura originale ha voluto dire la sua “aggiustando” la punteggiatura o “completando” parole come “sprecar” e “spaccar” giudicate chiaramente più incomprensibili di un dialetto pellerossa senza quella E conclusiva.
Rimanendo nell'ambito dei soli testi, siamo già stati testimoni di altri interventi a gamba tesa che hanno provato a sminuire il pathos di una scena: un esempio palese è stato il cambiare “Mio uomo” detto con amore da Lilyth con “Il mio uomo” che non assume più quel senso di leggiadria e dolcezza e che non funge più da vocativo come invece è giusto che sia. Bisognerebbe usare sale in zucca in tutte le cose che si fanno, specialmente se si ha la pretesa di ritoccare il lavoro di giganti.
Per fortuna non sono il solo a pensarla così, nonostante ci sia una certa percentuale di appassionati che invece o non ci hanno fatto caso o scelgono i paraocchi. Ci sono state parecchie rimostranze in merito e molti hanno notato quelli che sono stati paragonati agli interventi della censura negli anni 50, che riportava un tono meno brillante ed incisivo rispetto alla pubblicazione originale. Ma erano gli anni 50.
"Addio, mio uomo... Addio!"
Lo struggente ricordo della moglie di Aquila della Notte
in un disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a GALEP.
Poi… c'è l'articolo messo lì per “impreziosire” il volume.
Una sequela di sgambetti auto-inferti uno peggiore del successivo, un susseguirsi di nozioni che vogliono sembrare come dire vissute, padroneggiate ed esposte “al popolo” ma che invece, leggendo con attenzione, si rivela un discorso degno di un politicante che vende fumo e ben poco arrosto, tirato fuori dal cappello di chi palesemente non è un Texiano come gli imporrebbe il suo ruolo.
Dal momento che sto scrivendo queste righe dopo aver pranzato e non voglio causarmi un pomeriggio di stomaco accartocciato, quasi come se fossi una donna incinta nel primo trimestre, ed anche perché non voglio annoiarvi oltre misura non mi addentrerò nel ripetere le considerazioni, basate come sempre su elementi oggettivi e verificabili, questo invece lo ripeto, che avevo già esternato in una passata chiacchierata. Se volete andare a ripassarle o siete curiosi di scoprire quali sono nel caso non le aveste ancora lette, questo è il link dove potete trovarle: http://www.fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5581-il-mondo-a-volte-e-un-vero-far-west .
Sul cartonato c'è però ancora una riflessione da fare.
Come detto, quest'albo alla francese è una ristampa. E ciò ha suscitato qualche polemica con esagerazioni dal lato delle proteste ma anche da quello della difesa a spada tratta della Casa Editrice. Dunque, dal canto mio è ovvio che la Bonelli, come è stato affermato più volte da molte persone, non sia un'organizzazione di beneficenza e cerchi il profitto, ci siamo già accorti che certe scelte sono state imposte all'intera nave unicamente perché dettate dai gusti personali del comandante e non sempre la rotta risulta condivisibile, si tratta di lavoro e mica lo si fa gratis, solo io sono un beccaccione di quello stampo, ma è altrettanto vero che se si supera la “sottile linea rossa” facendo diventare la Fabbrica di sogni una Fabbrica e basta perseguendo unicamente la via del summenzionato profitto, il tutto finisce per diventare controproducente. Musica già sentita anche questa, nel recente periodo.
Infatti sono anche troppo numerose le sviste, gli errori, anche quelli involontari, che affollano le pagine di svariati volumi negli ultimi tempi (ok, in effetti anche albi non di stampo bonelliano sono diventati pieni di sbagli, ridimensionati con scuse che incolpano l'eccesso di carico di lavoro e la riduzione del tempo per farlo… va bene, allora invece di prendervi gioco dei lettori con arrampicate sugli specchi alquanto improbabili e battute poco simpatiche, assumete qualcuno per controllare – che so, me - così magari due fanali in più, per quanto occhialuti, impegnati in un'ultima rilettura magari un paio di castronerie le beccano prima della pubblicazione).
In quest'ottica si capisce perché nella fattispecie sia stata adattata una ri-ristampa: non credo di andare troppo lontano dall'obiettivo affermando che sia stata una decisione dovuta, al fine di tappare un buco, per una storia che forse non era stata completata in tempo. E' anche vero che rispetto a qualcuna, me ne vengono in mente due davvero non all'altezza rispetto ad altre spettacolari, delle avventure inedite dei cartonati, almeno in questo caso siamo andati sul sicuro.
Quindi tale virata dalla rotta è stata motivata come l'intenzione di attirare l'attenzione di nuove schiere di lettori. D'accordo, ci posso stare. Ma in un periodo oggettivamente pregno di uscite si può anche annunciare: “Per stavolta saltiamo in modo da garantire una qualità sempre ottimale” invece di cercare di far finire tutti sotto una slavina di giornalini di diversi formati. Anche perché quasi allo stesso tempo è comparsa un'altra ri-ristampa, vale a dire “Sangue Navajo” (numero 51, del 1965), anch'essa già avventura della serie regolare e già vista in altre riproposizioni, stavolta in versione da libreria.
Il curatore di questa Rubrica in un autoritratto insieme a Giovanni Ticci, incontrato ad una Fiera del Fumetto.
Quello che risulta difficilmente accettabile è invece l'atteggiamento di alcuni lettori: comprendo la noia di sentire sempre le stesse lamentele, che anche per me paiono ridondanti, ma certe reazioni fanno veramente arruffare il pelo e suonano non meno irritanti. Che senso ha dire: “Se non vi piace non compratelo, nessuno vi obbliga a comprarlo con una pistola puntata alla tempia”? Oppure addirittura: “Chi critica (o non lo prende) non è un vero Texiano”. Frenate, amigos.
Pensateci. Innanzitutto se non lo compro non posso sapere se mi piace o meno, che si tratti di un inedito o di una riedizione. E questo già chiuderebbe la faccenda. Ma poi chi vi ha eletto a giuria di opinioni? Si può comunque esprimere un proprio parere, che sia di approvazione o di disappunto, finché si mantengono toni amichevoli, tutt'al più ironici come faccio io, ma senza attaccare direttamente o insultare una persona né ergersi a “padroni” proprietari della passione che dovrebbe accomunarci né tanto meno di una pagina social o di un gruppo, per l'appunto, soprattutto se non li avete fondati voi. Ma come vi permettete, tra l'altro.
E' possibile che si debba sempre fare la voce grossa per ogni discussione? Ma a parte questo, sinceramente, ritenete che sia sensato avanzare tali obiezioni? Equivale a sostenere: “Beh, non mangiare tanto sappiamo tutti cosa diventa...” Ma state scherzando? Sulla stessa scia allora si potrebbe aggiungere: “Se non sei d'accordo non leggere o per lo meno non rispondere e passa oltre, specie se non sei capace di confrontarti civilmente”.
Non si tratta solo di una questione di soldi.
Nessuno è superiore agli altri, men che meno chi si pone come tale. Bisognerebbe prendere spunto dall'atteggiamento cordiale che si riscontra, il più delle volte e quando non cadono le... braccia, sulle pagine ufficiali invece di starnazzare come una tribù di galline dopo l'avvistamento di una volpe. Senza contare che uno dei valori fondamentali di Tex è l'uguaglianza, l'unione, non la prepotenza o l'altezzosità.
In merito alla questione del “vero Texiano” potrei liquidarla dicendo che chi dice una cosa del genere si qualifica da solo ma essendo pettegolo aggiungo che un vero Texiano ha il fegato di esprimere un proprio parere, usando un modo di fare comprensivo (non si spara mai per primi senza colpi di avvertimento), con cognizione di causa, anche se il suddetto parere esposto non è unicamente adorante. Non è sempre corretto né sperticarsi in lodi a scatola chiusa né lamentarsi in continuazione perché in entrambi i casi si perde credibilità e non serve nemmeno come critica costruttiva agli addetti ai lavori. Quando c'è una situazione oggettiva se lo si ritiene opportuno si può e si deve, siamo in un Paese libero, poter esprimere il proprio pensiero, senza uscire dal seminato, sebbene alcune distorsioni rischino di causare una paralisi ai muscoli della fronte per quanto diventi corrucciata. Che poi alcuni tra quegli addetti ai lavori il più delle volte, quando rispondono, dicano che non c'è alcun motivo di critica considerando chiuso l'argomento senza un minimo di dialettica o volutamente voltando la frittata è un altro paio di maniche.
E' indubbio che “vecchi” lettori storcano il naso quando si trovano a sorpresa davanti la quarta o quinta versione della medesima storia. Ciò non vuol dire che siano obbligati a comprarla, naturalmente, ma questo vale per tutti i fumetti, senza divenire cittadini onorari di Ovviolandia.
In quest'ottica diventano ancora più gravi gli errori e le insensatezze che costellano il volume perché al contrario avrebbe dovuto essere di qualità impeccabile, essere talmente ben rinnovato e rimesso a nuovo da attirare anche chi conosce a menadito la storia, ma che non avrebbe comunque resistito alla tentazione di acquistarlo in ogni caso.
Invece purtroppo anche chi è un irriducibile, mi ci metto anch'io ma in grado moderato, oramai per esperienza spera che nelle "novità" non ci siano alzate d'ingegno quando non si tratta di più o meno velate prese per i fondelli rivolte proprio ad "intortare", a volte volendolo a volte no, quel pubblico che è alla fine il vero ed ultimo datore di lavoro delle Case Editrici. A tutti gli appassionati fa piacere collezionare un formato diverso da quello gigante classico, perché magari la narrazione gli fa ricordare particolari momenti passati o perché semplicemente aveva colpito nel segno la prima volta che era stata letta... capita a tutti, me compreso. Come non citare “El Muerto” o “Gli eroi di Devil Pass” tanto per tirare in ballo due “ever green” che certamente fanno bella mostra di sé nelle librerie di molti Texiani al pari della mia.
Di fronte allo sbrodolamento generale ed alla pendenza che ha la solita bilancia tra qualità e quantità in favore di quest'ultima facciamo appello alla nostra passione ma un certo stupore condito con un po' di disappunto è quanto meno legittimo visto che da un'altra prospettiva, tornando sul pezzo, apparentemente viene a mancare una sorta di conformità identificativa della collana.
Passione che è e dovrebbe rimanere solo una bella base per la condivisione senza che si formino strambe fazioni tra chi carica a testa bassa o chi parteggia per il “sì” sempre e comunque sfociando in cori alquanto stonati senza rispettare le posizioni altrui ed alle volte non accorgendosi neanche di abbaiare verso chi la pensa in egual modo.
Nota positiva, la presentazione ad opera di Davide Bonelli, che con l'abituale classe introduce l'albo. Fa sorridere, col cuore e non in modo sarcastico, il tono edulcorato e gentile con cui viene ricordato il primo volume della collana, “Tex - L'eroe e la leggenda” che se per i disegni era splendido per la sceneggiatura è stato un vero colpo a salve. Viene quindi menzionata l'altra occasione in cui c'è stata una ristampa nello stesso formato, in occasione delle celebrazioni in onore di Galep (“Gli sterminatori”) ma soprattutto in mezza pagina si evince tutto il trasporto, il rispetto, l'ammirazione, palpabile e vera, genuina, per i creatori di Aquila della Notte e per il personaggio stesso: quasi ci dimentichiamo delle incongruenze che poi nostro malgrado riscopriamo sfogliando le tavole anche per la maniera in cui viene proposta la scelta di inserire una rivisitazione, vista come “una riscoperta” dei canoni Texiani più veraci. Non potrei essere più d'accordo. Forse bisognava spiegarlo anche a chi ha editato questa versione e chi ha imbastito, non posso utilizzare un altro verbo, le pagine conclusive dopo le nuvole parlanti.
Per completezza, i colori: sono stati affidati alla GFB Comics che ha svolto un lavoro pulito e lineare, anche se le emozioni suscitate dal racconto rispetto alla versione in bianco e nero, personalmente, non sono state aumentate dalla colorazione.
Speciale numero 2: “Doc!”
Anche sul Texone abbiamo già avuto modo di soffermarci ma, tranquilli, non farò il pappagallo.
I disegni sono opera di Laura Zuccheri. Si è parlato molto sul fatto che questo è stato il primo volume di Tex disegnato da una donna, esaltandone giustamente i pregi dal punto di vista artistico. Non è però certo la prima volta che una donna lavora ad un volume del Ranger, come in questa rubrica abbiamo sottolineato più volte anche in modo specifico ( http://www.fumettodautore.com/index.php/magazine/osservatorio-tex/5574-i-pareri-sono-come-il-c-ervello-tutti-ne-hanno-uno ) sempre esaltando i pregi del lavoro di fior di professioniste. E' comunque indubbio che sia stata una novità quella di una disegnatrice di sesso femminile, per quanto sinceramente non dovrebbe fare poi tanto notizia. E per quanto ora non sia più l'unico caso, come abbiamo visto in seguito all'intervista con Patrizia Mandanici.
La mano dell'artista rende bene le atmosfere western offrendoci un'ottima prova al suo battesimo del fuoco sulle piste della Frontiera. Ottima, sicuramente, ma non per questo eccelsa al punto tale da superare, sebbene qui nessuno abbia mai pensato si debbano fare classifiche, o addirittura oscurare esempi di qualità superba precedenti, rimanendo anche solamente nell'ambito dei Texoni. Lo stile della signora Zuccheri è lineare e rigoroso ed i tratti sono netti, per nulla esasperati, i volti dei Nostri sono immediatamente riconoscibili quindi l'aspetto meramente grafico risulta molto ben riuscito e fluidamente leggibile. Non condivido però la “corrente di pensiero” che si è subito innalzata ad osannare, forse per fornire un benvenuto il più caloroso possibile alla “nuova arrivata”, le tavole in questione. Capiamoci, sapessi io disegnare inventando senza troppi spunti toccherei il cielo con un dito ma da qui ad elargire giudizi alla “santa subito” ce ne corre, tanto più che questa sorta di entusiasmo leggerissimamente esagerato in qualche lettore spunta ad ogni uscita, non importa di cosa si tratti.
Ora, io, non credo ci sia bisogno di ribadirlo, sono un fervido appassionato di Tex e di West, e sono il primo ad essere contento quando posso reperire un albo ben fatto, ben disegnato ed interessante, ma reagire come il cagnolino dei miei genitori quando gli si balena davanti una crocchetta per ogni singola uscita, dimenticandosene nel giro di un paio di settimane perché c'è qualcosa di nuovo da definire “il migliore” appare poco sensato. A me piace ponderare e rileggere i volumi, osservando il lavoro che artisti e sceneggiatori hanno realizzato in tempi anche lunghi, a volte per imparare, altre per approfondire certe conoscenze e per quanto riguarda le storie a fumetti banalmente per godermi il mio “Tex nuovo” in pace e lasciarmi trasportare in quel mondo che fa sognare tutti noi, nonostante per assurdo certe volte gli stessi produttori cerchino di svegliarci da quel sogno a furia di pizzicotti sul didietro.
In tal modo si possono apprezzare complessivamente gli accorgimenti stilistici inseriti nelle pagine, come il diverso sfumato ed i grigi per i flashback o le dettagliate ambientazioni cittadine, arricchite da grandiose visuali di interni come quando si entra in un saloon per sciacquarsi il gargarozzo, che si contrappongono alle spoglie ma non per questo meno curate vignette in cui ci si muove in un deserto o in una catapecchia bruciata dal sole. I contrasti tra i neri ben dosati per realizzare le ombre anche in una stanza rispetto alle zone illuminate ed ancora quando un personaggio viene investito dalla luce di una lampada ad olio o si accende una sigaretta che squarcia il velo della notte evidenziano una notevole esperienza con le chine.
Qualche imprecisione però specialmente in una mole di tavole come un Texone può sempre essere dietro l'angolo, sia nelle vignette che, e soprattutto in questo caso, nella storia in sé.
In uno scambio di battute tra Carson ed un prigioniero quest'ultimo afferma che un certo agglomerato di casupole non potrebbe “assomigliare a Parigi”. Piuttosto acculturato come bandito per sapere in quegli anni che la capitale francese fosse una metropoli elegante o che esistesse proprio, specialmente trovandosi in Europa. Ma chissà, anche le mele marce possono leggiucchiare qualche dime novel, non dico libro.
Provo sempre una naturale ammirazione per chi riesce a disegnare un treno che sfreccia sferragliando per la prateria e questo in parte compensa l'amaro in bocca che le scarse scene d'azione, ebbene sì, alla fin fine non ci sono grandi scambi di opinioni a suon di clarinetti in questo speciale, lasciano dopo la lettura. Sembra quasi aleggiare una sorta di delicatezza nel trattare la violenza che se da un lato è apprezzabile e per certi versi condivisibile, dall'altro poteva forse essere resa allo stesso modo anche con qualche sparatoria in più e qualche cattivo definitivamente messo a riposo invece di bacchettate sulle mani e minacce di ulteriori punizioni se i cattivi tornassero ad incrociare la strada dei Rangers. Si parla di ladri, assassini e rapinatori, gente con due dita di pelo sullo stomaco, mentre nella storia si fanno convincere a parlare e ad abbassare le penne anche troppo in fretta, rispetto non solo alla possibile realtà ma anche ad altri villains affrontati in passato.
Questi sono i “Cowboys”, non un gruppetto di bulletti del catechismo! Siamo nel West!
Alcune espressioni di Tex non sembrano sempre in linea con il contesto ed in qualche vignetta pare che la postura dell'ex magnifico fuorilegge venga ripresa da disegni precedenti del medesimo volume ma a parte un'occasione in cui il cavallo di uno dei Nostri ha un sederone particolarmente pronunciato non si notano errori o sviste, neanche per quel che riguarda le riproduzioni delle armi da fuoco, il che è un ulteriore punto di merito.
Presumibilmente per via degli impegni lavorativi, oppure perché ha letto un mio articolo in cui menzionavo il Texone e non le è piaciuto, Laura Zuccheri ha visionato il messaggio di contatto che a suo tempo le avevo inviato dove le domandavo la possibilità di ottenere una breve intervista ma non ha mai risposto. Peccato.
Ritratto di Laura Zuccheri, ad opera di Lorenzo Barruscotto, realizzato per l'eventuale intervista.
Dal punto di vista della trama abbiamo già affermato che quella di “Osservatorio Tex” sarebbe stata una voce fuori dal coro, lo hanno compreso anche direttamente in Redazione, sebbene siamo partiti a parlarne da quello che segue l'avventura a fumetti e cioè dagli articoli che “impreziosiscono” il volume. Nulla da dire sull'introduzione (di questo albo perché quella di un altro volume in edicola proprio a novembre parla da sola, purtroppo) dove viene dapprima presentata al pubblico e poi intervistata la disegnatrice. Quello che fa alzare il nostro sopracciglio dello stupore ben oltre la nostra stessa fronte è l'articolo che si intitola, come in una sorta di profetico autogol (un altro…), “Un uomo e il suo destino”.
Anche in questo volume, che per la cronaca non è un “volume gigante” nonostante le dimensioni perché quel nome viene sempre usato, da decenni, per gli albi classici mensili - lavorandoci bisognerebbe saperlo e non causare confusione negli appassionati che infatti quando erano comparse le prima tavole in anteprima si chiedevano dove sarebbe comparsa la storia - ci sono più di una imprecisione sugli aspetti storici, o storiografici chiamateli come volete, “venduti” come tranquille e sicure news.
Lo siento, compadres, come abbiamo già avuto modo di sostenere, sull'insegna del Trading Post qui fuori non c'è scritto “ipse dixit”.
La prima cosa, sì, già detta ma ribadirla un'ultima volta male non fa, che salta agli occhi è il tris di fotografie che vorrebbero raffigurare Doc Holliday: indovinate? Nessuna delle tre corrisponde al gambler. Nessuna... Filotto! Facciamola breve: il bambino non si sa bene chi sia, un mini-cosplayer magari parente dello scrittore abbigliato per l'occasione, il tizio ben vestito con i baffi si chiama John Escapule, spesso scambiato per Doc e trisavolo dell'attuale sindaco di Tombstone Dustin Escapule, del quale ho narrato la storia in un articolo specifico che trovate su “Farwest.it” in cui ho motivato, con prove vere e non millantate, le mie affermazioni (questo è il link: https://www.farwest.it/?p=29230 ) ed il terzo uomo fotografato è “solamente” un poveraccio che aveva in comune con Holliday il fatto di essere anch'egli malato di tubercolosi ma che gli storici e gli esperti, veri anch'essi, oggi hanno stabilito che non si tratta del pistolero sebbene non si sappia la sua vera identità.
Due ritratti di John Henry Holliday ad opera di Lorenzo Barruscotto,
ispirati alle uniche due foto considerate certamente raffiguranti il gambler:
a sinistra il giovane Holliday appena laureato,
in centro Doc come appare da adulto, in un'immagine scattata a Prescott, Arizona.
A destra la foto del presunto Doc quasi in fin di vita, non accreditata.
Quello che si è scritto per “A Sud di Nogales” in quest'analisi non vale certamente solo per il cartonato. Purtroppo si inciampa anche qui in considerazioni del tutto personali che non dovrebbero essere proprie di uno scrittore in un brano avente lo scopo di illustrare un determinato periodo o una specifica persona, soprattutto quando si tratta di assoluti che fanno di tutta l'erba un fascio o peggio ancora di vere e proprie baggianate, scusate il francesismo. Ovviamente si possono esprimere opinioni ma, non mi stuferò mai di ripeterlo, bisogna motivarle.
Dare del sanguinario ad un uomo per il solo motivo che viene da una certa area geografica è piuttosto, come dire, audace. D'altra parte a tutti noi Italiani piace tantissimo sentirci buggerare con “pizza, spaghetti e mandolino”, quando ci va bene, no? Lo stesso vale per chi è nato nel Sud degli Stati Uniti. Se invece si vuole sostenere che purtroppo pregiudizi e razzismo erano ben radicati in quella zona in quel frangente storico allora è un altro discorso e... si poteva dire, beh, così.
Per non parlare del tatto che viene messo in campo quando si parla di un uomo malato di una terribile patologia come la tisi: “… a nessuno piaceva farsi mettere le mani in bocca da un dottore che sputava sangue.” Per tutti i diavoli, non dovrei più andare avanti a scrivere senza prima indossare uno smoking, vista la classe.
Sarebbe inoltre stato interessante leggere qualche riga sul cosiddetto gioco del faro, o meglio faraone, diffuso quanto e forse più del poker, ma probabilmente ciò avrebbe implicato ricerche che, come dimostrato dalle foto e dalle auto-rastrellate sulle gengive menzionate prima, non sono nelle corde dell'autore. Il “Pharaon” che significa proprio faraone era il re di cuori nel mazzo regolare ed i giocatori scommettevano sull’ordine con cui si sarebbero presentare le carte fino a trovare quella determinata figura.
Sciorinare poi a guisa di favola della buonanotte una sfilza di “facts” su Doc Holliday senza produrre uno straccio di fonte od approfondimento e lasciando invece capire l'antipatia provata per il giocatore d'azzardo o, già che ci siamo, verso Wyatt Earp, in un fumetto western non suona come il top in fatto di professionalità. Trovo invece legittimo il fatto che venga sottolineata la lealtà di Doc nei confronti dell'amicizia con lo stesso Wyatt, sebbene sempre in modo piuttosto pittoresco.
Anche questa è un'occasione mancata per fare una ricerchina: Wyatt Earp parlando di Holliday affermò che lo riteneva, testuali parole: “un amico leale ed un buon compagno. Era un dentista che la necessità aveva trasformato in un giocatore d'azzardo, un gentiluomo la cui malattia aveva reso un vagabondo, un filosofo la cui vita lo aveva fatto diventare uno 'spirito caustico', un tipo biondo e longilineo mezzo morto di consunzione ma allo stesso tempo il più abile gambler e con una pistola in mano l'uomo più ardito, rapido e letale” che avesse mai conosciuto.
Ovviamente il giudizio è un po' di parte ma se non è una conferma della stima reciproca questo, non so cosa potrebbe esserlo.
Inoltre sarebbe stato più che opportuno portare alla conoscenza di tutti che in realtà Doc non era un uomo dai capelli corvini ma biondi, quanto meno chiari, particolare confermato anche da altri testimoni, come la moglie di Virgil Earp.
Suggerimento numero mille e uno: non c'è solo il termine pistolero che si può usare. Ci sono anche i quasi sinonimi gunman o gunslinger ad esempio.
Suggerimento numero mille e due: Tombstone non venne battezzata così “ironicamente” ma sono nate leggende sull'origine del nome della città tanto che esistono più versioni della “verità”. (Articolo dove ne parlo: https://www.farwest.it/?p=29230 ) Che mi venga un colpo, ma davvero si scrive di West sul Texone o siamo qui a pettinare le giraffe?
Val Kilmer e Kurt Russell sono Doc Holliday e Wyatt Earp nel film "Tombstone".
Ritratti di Lorenzo Barruscotto
Un nome che non compare da nessuna parte nel Texone è quello del giudice Wells Spicer: nel 1878 si era trasferito a Tombstone, dove aveva intrapreso la carriera prima di avvocato e mediatore minerario per diventare poi commissario. Al tempo della sparatoria all'OK Corral, Spicer stava fungendo da Giudice di Pace di Tombstone. Dopo che lo sceriffo di contea (come più volte affermato si chiamava "Sheriff" questa carica, mentre lo sceriffo di città era il Marshal) Johnny Behan arrestò i fratelli Earp così come Doc Holliday, il 29 novembre 1881 si tenne un'udienza preliminare in cui Spicer decise che le azioni degli imputati erano state legittimamente giustificate. Con buona pace di chi sostiene che non ci siano stati procedimenti legislativi a carico dei “buoni”, anche tra "esperti" fumettari, la sua dichiarazione conclusiva recita in parte: “Alla luce di tutti i fatti e delle circostanze del caso, considerando che le minacce hanno causato il carattere e la posizione delle parti e i tragici risultati raggiunti, nella maniera e nella forma che erano, con tutte le influenze che incidono sul risultato della relazione, non posso esimermi dalla conclusione che gli imputati erano pienamente giustificati nel commettere queste uccisioni e che si trattava di un atto necessario compiuto nell'esercizio del dovere."
Spicer, inutile dirlo, diventò immediatamente un potenziale bersaglio per gli altri Cowboys. Nel dicembre 1881, ricevette la seguente lettera minatoria: "Signore, se seguirai il mio consiglio, partirai per un clima più congeniale, poiché non credo che questo sia salutare per te ancora molto a lungo, poiché potresti rischiare di bucarti la giacca in qualsiasi momento. Se quei figli di - ehm - come te sono autorizzati a dispensare la giustizia in questo territorio, prima ti allontani da noi e meglio sarà per te e per la comunità in generale. E' solo una questione di tempo.” (Compatibilmente con la grammatica usata dai banditi e la mia conoscenza dell'inglese, la traduzione è ricavata da un documento ufficiale che ho trovato nelle mie ricerche. Eh sì, mister articolista, ricerche...)
Capita l'antifona, il giudice alzò i tacchi. La sua decisione riguardo agli Earp portò alla fine la sua carriera e presto lasciò Tombstone per reinventarsi come ingegnere minerario, lavoro molto meno propenso ad attirare grane a base di piombo. Alcune fonti avanzano l'ipotesi che abbia perfino inscenato la sua morte e si sia recato in Messico.
Pertanto non venitemi a raccontare che non ci sono stati procedimenti giuridici a carico dei superstiti dello scontro a fuoco, amigos. Semplicemente se non sapete qualcosa non parlatene... Io non mi metto a disquisire di ricette o di come ci si imbelletta il naso, per dire.
Anche se aveva presumibilmente i capelli chiari,
Doc Holliday era rappresentato come appare in queste due riproduzioni di immagini d'epoca.
Ritratti di Lorenzo Barruscotto
Sebbene fosse un uomo istruito, John Henry Holliday era piuttosto irascibile oltre che svelto con la pistola.
Un episodio realmente accaduto ma che pochi conoscono, che viene ripreso nel Texone e utilizzato come cartina tornasole per verificare i sospetti sul cattivo, coinvolse Doc ed alcuni ragazzi afroamericani che nuotavano in un fiume, nella zona apparentemente preferita dal futuro gambler. Non si sa bene se solo per razzismo o per altro, Doc iniziò a sparare indirizzando i colpi al di sopra delle loro teste. Al contrario di quanto avviene nella storia disegnata, uno dei ragazzi rispose al fuoco, ma fortunatamente nessuno rimase ucciso. In ogni caso le testimonianze variano.
Holliday consultò un certo numero di medici, non suoi colleghi come erroneamente affermato nel volume, che lo incoraggiarono a trasferirsi in un clima più secco per prolungare la sua vita. Così, nell'ottobre 1873, fece le valigie e si diresse a Dallas, in Texas, che all'epoca costituiva l'ultima fermata della ferrovia. Tuttavia, Bat Masterson scrisse nel 1907 che Doc si trasferì a causa anche dell'incidente del fiume avvenuto in Georgia.
La vita nel West non era certo una passeggiatina ed il dover convivere perennemente con l'ombra della morte per via della sua malattia non ha contribuito a migliorare il già sanguigno carattere del dottor Holliday, il quale iniziò ad allenarsi nell'uso della sputafuoco diventando maledettamente abile con un "cannone" in pugno, non importa di che “marca” o che calibro.
Un uomo che non ha paura di morire è un uomo che non ha paura di niente, ma un uomo che non ha paura di morire perché si ritiene già morto è mille volte più pericoloso. Se al tutto aggiungete che in generale non è che girassero molti intellettuali per la Frontiera e che già normalmente, anche senza trovarsi davanti qualcuno che ti spenna vestito come un damerino, sarebbe stato facile inciampare in quello che non ci sta a perdere e che discute a suon di proiettili volanti, era praticamente inevitabile che la situazione si facesse esplosiva come una polveriera.
Pare però che inizialmente, nessuno lo dice mai, non sia mai che si perda il titolo di membro onorario della tribù degli Incapaches per carità, Doc abbia lavorato con un altro dentista di nome Dr. John A. Seegar proprio a Dallas. Tuttavia fu presto costretto a trovare un altro modo per guadagnarsi da vivere.
La sua intelligenza lo favoriva nel gioco d'azzardo, era quel che si dice un talento naturale.
Il primo resoconto di uno scontro a fuoco che lo vide coinvolto risale al 2 gennaio 1875, quando Doc e tale Austin ebbero un disaccordo, che degenerò rapidamente in violenza. Nonostante i molti colpi sparati, nessuno dei due rimase colpito ma entrambi furono arrestati, come riportato nel "Dallas Weekly Herald". La seconda volta che si trovò invischiato in una sparatoria Doc andò a segno con due pallottole ben piazzate. In fuga da Dallas, Holliday si diresse a Jacksboro, Texas, una città selvaggia e senza legge vicino ad un avamposto dell'esercito. Doc trovò lavoro con le carte, rispunta il gioco del Faraone, mostrandosi sempre ben armato, il che faceva anche da deterrente: adesso trasportava una pistola in una fondina ascellare ed un'altra al fianco, insieme al coltello.
Tuttavia, nell'estate del 1876, John Henry si scontrò con un militare di Fort Richardson che rimase sul terreno. Venne messa una taglia sulla sua testa e fu perseguito dall'esercito, dai Texas Rangers, dagli sceriffi e da semplici cittadini ansiosi di intascare il malloppo. Consapevole dell'imminente impiccagione se catturato, Doc fuggì ancora. Fermandosi lungo la strada a Pueblo, Leadville, Georgetown e Central City, lasciò altri tre cadaveri sulla sua scia. Alla fine, stabilendosi a Denver, assunse il nome di Tom Mackey, mentre si guadagnava da vivere presso la casa da gioco Babbitt’s House. Rimasto buono e quindi nascosto per qualche tempo, le cose cambiarono per via dell'ennesima “discussione”, stavolta con un altro noto giocatore d'azzardo, un certo Ryan, che sopravvisse per quanto malconcio. Doc dovette nuovamente fare fagotto per salvare la pelle, spostandosi prima nel Wyoming, poi nel New Mexico, ed infine di nuovo in Texas.
Tre libri, “The Illustrated Life and Times of Doc Holliday”, di Bob Boze Bell, “Doc Holliday, A Family Portrait”, di Karen Holliday Tanner (una cugina), e “John Henry (The Doc Holliday Story)”, dello storico di Tombstone Ben T. Traywick, mirano a correggere le dicerie e le leggende con documenti reali come lettere, censimenti, dichiarazioni su giornali e documenti giudiziari.
Non è chiaro se pensando di fargli un favore, i suoi amici più cari, Wyatt Earp in testa, hanno ripetuto racconti esagerati a giornalisti e potenziali autori che dal canto loro non si sono fatti problemi ad aggiungere storie anche gonfiate per rendere i loro pezzi più sensazionali. A causa della sua ben poco limpida reputazione, la famiglia in Georgia rinnegò Doc.
Relativamente poco di tutto ciò compare nel riassunto della vita dell'ex dentista nel Texone. Non fate quella faccia: avevate qualche dubbio...?
Kevin Costner nei panni di Wyatt Earp, nell'omonima pellicola.
Ritratto di Lorenzo Barruscotto
Come già accaduto per confutare le sconclusionate affermazioni presenti nel quarto volume del ritorno di “Magico Vento”, anche in questo caso continuo a non capire perché il tono dei pezzi si sforzi sempre di mettere in luce positiva i “Cowboys”, riconosciuti fuorilegge dall'anima nera, ed al contempo non manchi di sottolineare le ombre nel passato di Wyatt o degli altri fratelli Earp. Vero, non erano dei cherubini, ma o si è diretti e si portano delle prove oppure si riempie semplicemente l'aria di altra aria. Come gli appassionati della Frontiera, intendo dire quelli veri, sanno, l'uomo di legge Wyatt Earp non era un santo e nella sua vita ci sono stati purtroppo episodi tutt'altro che degni di lode ma tra questi di sicuro non bisogna annoverare quelli commessi quando aveva una stella sul petto o quando agiva contro un criminale. E per come la vedo io, se uno è tanto intelligente da provocare, addirittura minacciare, lui o Holliday per motivi futili o maligni, ben conoscendo la loro fama, beh, quell'uno doveva essere proprio stanco di indossare i suoi stivali.
Fa sorridere come in questo articolo ci sia proprio in pratica la confutazione di una delle tesi nel suo corrispettivo errato che si può trovare nella parte conclusiva del ritorno di Ned Ellis. Io personalmente rido ancora quando mi torna in mente l'osservazione che Tombstone non fosse un luogo turbolento ma una tranquilla località perché “c'erano le gelaterie” come sostenuto su Magico Vento. Accidentaccio, non servono più stelle di latta o Colt per stabilire e difendere la legge quando là dove una volta c'erano solamente scorpioni e serpenti a sonagli arrivava il cono gelato... Il pistacchio c'è?
Tutta la trafila che porta al celeberrimo scontro a fuoco all'Ok Corral, che viene sbolognato in poche parole e che in realtà si svolse in una via laterale, non presso il recinto, non considera che ci potrebbero essere neofiti che non conoscono la storia (loro, eh?!) ma che sarebbero interessati ad impararla (spiacente, hermanos, ma sarebbe in questa sede una digressione troppo corposa presentare e descrivere l'intera faccenda come si deve) ed include protagonisti della vicenda mai citati se non quando servono, come Bat Masterson.
Non guardatemi così, va bene, lui ve lo spiego chi è.
Bartholemew William Barclay (detto "Bat") Masterson (26 novembre 1853 - 25 ottobre 1921) è stato uno scout dell'esercito americano, un avvocato, un giocatore d'azzardo professionista ed un giornalista. Nato da una famiglia irlandese della classe operaia nel Quebec, Masterson si trasferì alla frontiera occidentale da giovane e si distinse rapidamente come cacciatore di bufali, esploratore e combattente nelle Grandi Pianure. In seguito guadagnò la fama di pistolero come sceriffo a Dodge City, Kansas.
Verso la metà del 1880, Masterson si trasferì a Denver, in Colorado, e si affermò come un "uomo sportivo" (altro modo in slang per indicare un giocatore d'azzardo). Si interessò ai combattimenti a premi, non c'erano solo le carte, e divenne un'autorità di spicco nello sport, frequentando quasi tutte le partite importanti ed i match più seguiti negli Stati Uniti dal 1880 fino alla sua morte nel 1921.
Si trasferì a New York City nel 1902 e trascorse il resto della sua vita come reporter ed editorialista per il “New York Morning Telegraph”.
La rubrica (ehi, aveva una rubrica come me) di Masterson non riguardava solo la boxe o altri sport, ma spesso forniva le sue opinioni su criminalità, guerra, politica ed altri argomenti di attualità. Divenne anche amico del presidente Theodore Roosevelt.
Al momento della sua morte, Masterson era conosciuto in tutto il Paese come uno dei principali scrittori sportivi, una vera celebrità. Oggi è ricordato per il suo legame con molte delle persone, dei luoghi e degli eventi più iconici del West. E' passato alla storia per tanti episodi, uno dei più leggendari è quello di un assedio di cinque giorni da parte di diverse centinaia di guerrieri Comanches, Kiowa e Cheyennes guidati da Quanah Parker ad un gruppetto di edifici sgangherati nel Panhandle texano noto come Adobe Walls. Bat fu uno dei soli 28 cacciatori che difesero l'avamposto durante l'assalto. La compagine Comanche subì la maggior parte delle perdite durante la battaglia, anche se il numero effettivo dei caduti non è noto, con rapporti che vanno da un minimo di 30 ad un massimo di 70. I difensori di Adobe Walls persero solo quattro uomini, uno dei quali si sparò accidentalmente.
L'episodio in un'altra testata viene rievocato splendidamente facendolo vivere ad un eroe bonelliano protagonista di una miniserie che si è distinta per l'eccellenza del prodotto: Deadwood Dick.
Nel 1876 a Sweetwater, Texas, Bat fu attaccato da un soldato, il caporale Melvin A. King, vero nome Anthony Cook, presumibilmente perché era con una donna di nome Mollie Brennan che fu fortuitamente colpita da uno dei proiettili di King e rimase uccisa. King però ci rimise la ghirba e Masterson fu colpito al bacino ma si riprese e si ristabilì poi a Dodge City.
Nel luglio 1877 fu assunto per servire come vice dello sceriffo Charles E. Bassett ed in seguito venne eletto sceriffo della contea di Ford County, Kansas. Ed Masterson, il fratello, divenne Marshal (carica cittadina) della città di Dodge, così insieme i fratelli Masterson controllavano le forze di polizia della città e della contea.
Il 1 febbraio 1878, lo sceriffo Masterson catturò i famigerati fuorilegge Dave Rudabaugh e Ed West (il primo viene menzionato direttamente nell'articolo ma senza aggiungere altro a parte il nome) che erano ricercati per un tentativo di rapina ad un treno.
Ed Masterson fu poi ferito a morte da un cowboy, nel senso di mandriano, di nome Jack Wagner.
Quando un'attrice di varietà di nome Dora Hand, conosciuta professionalmente come "Fannie Keenan", fu uccisa da James Kenedy, figlio del ricco allevatore di bestiame texano Miflin Kenedy, una posse guidata da Bat, che includeva Wyatt Earp (guarda che combinazione), catturò il fuggitivo il giorno seguente. Successivamente un gruppo di “pistoleri” reclutati da Masterson e Wyatt Earp si riunì a Dodge City per risolvere quella che divenne nota come "Dodge City War", ma non è il caso di raccontare mezza storia della Frontiera adesso. Vi basti che prima di sciogliersi il 10 giugno 1883, Short, Masterson, Earp ed altri cinque posarono per un ritratto, una foto che fu presto etichettata come "The Dodge City Peace Commission", la “Commissione di Pace di Dodge City”, un'immagine iconica del Vecchio West.
Ecco, questa era una foto da inserire nel Texone, non quelle tre, che comunque si potevano “smascherare” con un po' di verifica (la parola smascherare non è usata a caso). Io non sono mica “nato imparato” e per giunta non mi paga nessuno, men che meno la Bonelli, per scrivere, quindi rifilare str...avaganze ai Texiani non è certo un “peccatuccio veniale” sebbene purtroppo pochi se ne siano resi conto e nessuno abbia cercato di rimediare ma anzi ci si sia prodigati per nascondere il tutto sotto il tappeto.
Capite perché tiro in ballo il rispetto verso i lettori ed il proprio lavoro?
Comunque sia, Masterson tra l'altro per un periodo si riunì a Wyatt Earp a Tombstone, Arizona. I due insieme lavoravano ai tavoli del Faro, o come "guardie", al saloon Oriental.
Wyatt Earp: quello vero a sinistra ed impersonato da Kevin Costner a destra.
Ritratti di Lorenzo Barruscotto
Ci sono anche alcune discrepanze proprio nella storia a fumetti.
Non che sia “sbagliato” aggiungere personaggi inventati che si muovono su una base storicamente reale ma se si vuole che tali personaggi sembrino davvero veri, per così dire, bisogna attenersi a quello che realmente corrisponde alla verità comprovata, anche nei disegni. Mi sto riferendo a Johnny Ringo.
John Peters Ringo era un fuorilegge associato ai Cowboys della Cochise County nel territorio dell'Arizona. Prese parte alla guerra della contea di Mason durante la quale si macchiò del suo primo omicidio. Fu arrestato ma fuggì di prigione poco prima della sentenza. Fu affiliato (non aiutante ma quindi implicato direttamente in questioni losche) allo sceriffo della stessa Cochise County Johnny Behan che era lui stesso un furfante. Venne sospettato da Wyatt Earp di aver preso parte al tentato omicidio di Virgil Earp ed all'imboscata che causò la morte di Morgan Earp. Un vero angioletto, forse da dipingere in modo meno “finto galantuomo in guanti bianchi”, anche se una famosa foto lo raffigura con un vestito diverso dai tipici abiti del cowboy, diciamo non in stile “casual”, anche se probabilmente l'intenzione era quella di farlo apparire come un serpente pronto a colpire. Era.
Nella realtà, anche in questo frangente il Texone ridefinisce la sua parte di leggenda, venne trovato morto con una ferita da proiettile alla tempia destra. Ricercatori moderni hanno avanzato varie teorie sulla sua dipartita.
A Tombstone, Ringo aveva la reputazione di possedere un gran brutto carattere. Alcuni dicono che potrebbe (potrebbe?) aver partecipato a rapine ed omicidi con i Cowboys. Il condizionale non credo sia d'obbligo in questo caso. Il 17 gennaio 1882, Ringo e Doc Holliday si scambiarono minacce e sembrarono sul punto di affrontarsi in uno scontro a fuoco. Entrambi gli uomini furono arrestati dal capo della polizia di Tombstone, James Flynn, e portati davanti ad un giudice per il trasporto di armi in città, allora proibito. Furono solo multati. Un giudice diede poi seguito ad accuse di rapina a carico di Ringo ma non riuscì a tenerlo dietro le sbarre a lungo.
Ringo fu sospettato, come detto, dagli Earp di aver preso parte il 28 dicembre 1881, all'imboscata ai danni di Virgil Earp, che rimase con un braccio paralizzato ed il 18 marzo 1882, all'omicidio di Morgan Earp mentre stava giocando a biliardo in un saloon di Tombstone (questi fatti di sangue non sono avvenuti la stessa notte come invece il cinema ci ha portato a pensare).
Wyatt Earp ed il suo gruppo uccisero di lì a poco Frank Stilwell a Tucson, il 20 marzo 1882 (non per gioco anche se non viene ovviamente ribadito): era iniziata la “Vendetta Ride” (cavalcata della vendetta), atta a trovare ed eliminare gli altri che venivano ritenuti responsabili delle imboscate subite da Virgil e Morgan.
Behan ottenne mandati da un giudice di Tucson per l'arresto di Earp e Holliday ed incaricò di liquidare la faccenda proprio Ringo e altri 19 uomini, molti dei quali amici di Stilwell e dei Cowboys. Ma tu guarda a volte le combinazioni della vita.
Durante la vendetta, Wyatt Earp uccise uno dei più cari amici/complici di Ringo, "Curly Bill" Brocius, in uno scontro ad Iron Springs (in seguito ribattezzata Mescal Springs) a circa trenta miglia da Tombstone. Non che Curly Bill stesse facendo tranquillamente la calzetta mentre il confetto fatale lo raggiunse, chiudendo la sua carriera di bandito. Sembra, sottolineo sembra, che uno dei Cowboys, ferito a sua volta da Wyatt, sia riuscito a trascinarsi lontano dal luogo della sparatoria e prima di spirare abbia riferito lo svolgimento dell'episodio, contribuendo ad ammantare di “miticità” la figura di Earp, sempre solo sfiorato dai proiettili, che gli bucarono la giacca senza ferirlo.
Earp suggerì al suo biografo, Stuart Lake, che un uomo di nome Florentino Cruz confessò di essere stato testimone dell'omicidio di Morgan e identificò Ringo, Stilwell e Brocius come assassini di Morgan stesso, sebbene gli studiosi abbiano messo in dubbio il resoconto di Wyatt.
Il 14 luglio 1882, il corpo di Ringo fu trovato adagiato sul tronco di un grande albero nella Turkey Creek Valley, vicino al Chiricahua Peak in Arizona. C'era un foro di entrata nella sua tempia destra, come abbiamo evidenziato, ed un foro d'uscita nella parte posteriore della sua testa. Il suo revolver aveva una camera di scoppio vuota. Il suo cavallo fu ritrovato a due miglia di distanza con gli stivali ancora legati alla sella. L'inchiesta di un coroner locale dichiarò ufficialmente che era stato un suicidio.
Il corpo di Ringo è sepolto vicino alla base dell'albero dove è stato scoperto. La tomba si trova su un terreno privato ed è necessaria l'autorizzazione per visitare il sito.
Il ritratto ad opera di Lorenzo Barruscotto raffigurante l'attore Michael Biehn
nei panni di Johnny Ringo, nel film "Tombstone"
ed un avviso di taglia a carico di Ringo reperito in rete.
Nonostante la conclusione del coroner sono state proposte teorie alternative sulla causa della morte di Ringo, di varia plausibilità.
Dato che nel Texone la fine dell'esimio Johnny viene ripresa, sarebbe stato quanto meno “carino” leggere nel volume due parole su questa parte di Storia, non vi pare?
D'accordo, finiamo il lavoro.
Secondo il libro “I Married Wyatt Earp”, che l'autore e collezionista Glen Boyer sosteneva di aver stilato dai manoscritti della moglie di Wyatt, Josephine Marcus Earp, il marito e Doc Holliday tornarono in Arizona con alcuni amici all'inizio di luglio del 1882. Mentre Ringo tentava di fuggire in un canyon, Earp gli sparò con un fucile. Boyer si rifiutò di produrre i manoscritti e quindi i giornalisti scrissero che le sue spiegazioni erano contrastanti e non credibili. Il collaboratore del “New York Times” Allen Barra (no, non sono suo lontano parente) ha scritto che il libro "... è ora riconosciuto dai ricercatori esperti su Wyatt Earp come una bufala." Tuttavia, lo storico di Tombstone Ben T. Traywick considera la “teoria Earp” la più credibile , poiché solo lui aveva un motivo sufficientemente valido per far fuori il pendaglio da forca e probabilmente si trovava nella zona in quel momento.
In un'intervista con un reporter rilasciata a Denver nel 1896, Wyatt negò di aver ucciso Johnny Ringo ma nel 1888, intervistato dallo storico californiano Hubert H. Bancroft e poi da uno scrittore che firmò il libro “Pioneer Days in Arizona”, aveva sostenuto di aver ucciso lui Ringo mentre lasciava l'Arizona nel 1882. Tuttavia, pare che nel racconto includesse dettagli che non corrispondono a ciò che si sapeva comunemente sulla morte di Ringo. Quindi per lo meno poteva essere stato presente.
La “teoria Holliday” è simile alla teoria su Earp. Una variante, resa popolare nel film "Tombstone", sostiene che Holliday sia intervenuto al posto di Wyatt in risposta ad una sfida lanciata da Ringo stesso e lo abbia freddato al posto del Marshal. I registri della contea di Pueblo, per la precisione del tribunale distrettuale del Colorado (con sede a Pueblo, Colorado) indicano che Holliday ed il suo avvocato sono comparsi in tribunale l'11, il 14 ed il 18 luglio 1882 per rispondere a non precisate accuse. Il corpo di Ringo è stato trovato il 14.
Lascio alla vostra fantasia scegliere tra queste o altre verità. Considerate che c'era ancora un mandato d'arresto in sospeso sulla testa di Holliday in Arizona per la sua parte nell'omicidio di Frank Stilwell, rendendo improbabile la sua presenza da quelle parti in quel momento. La medesima osservazione potrebbe valere anche per Wyatt, però.
Ma per la scelta potete sbizzarrirvi.
Alcuni resoconti attribuiscono la morte di Ringo a Michael O'Rourke, un giocatore d'azzardo itinerante che fu arrestato a Tucson nel gennaio 1881 con l'accusa di aver ucciso un ingegnere minerario di nome Henry Schneider. Si dice che Wyatt Earp lo abbia protetto dal linciaggio di una folla organizzata e guidata da Ringo. O'Rourke fuggì di prigione nell'aprile 1881 e non fu mai processato per le accuse di omicidio. (Anche questo episodio viene inserito nella pellicola “Tombstone”, almeno in parte.)
Da allora in poi su di lui esistono solo voci sostanzialmente prive di fondamento: una potrebbe stare in piedi, quella che chiama in causa la combinazione tra il debito dovuto ad Earp ed il rancore che nutriva nei confronti di Ringo, la quale potrebbe averlo spinto a tornare in Arizona nel 1882, rintracciare quest'ultimo ed ucciderlo. Mentre alcune fonti considerano la storia verosimile, altre sottolineano che O'Rourke, come Holliday, sarebbe stato riluttante a rientrare in Arizona con un mandato per omicidio sul groppone.
Ovviamente niente di tutto ciò viene approfondito dove dovrebbe...
Tex e Carson in un disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a TICCI.
Ma perché ho tirato in ballo i “Cowboys”? Stavolta non si tratta di mandriani.
Pensate che la parola "cowboy" veniva usata durante la Rivoluzione Americana per descrivere chi si opponeva al movimento per l'indipendenza. Claudius Smith, un fuorilegge votato alla causa lealista, cioè a favore degli inglesi, fu chiamato "Cowboy of the Ramapos" a causa della sua propensione a sgraffignare buoi, bovini e cavalli ai coloni per darli agli Inglesi. Un tipo veramente per bene a quanto pare, simpatico come un cactus piantato dove non batte il sole.
Nello stesso periodo, un certo numero di bande di guerriglieri operarono nella contea di Westchester, che segnava la linea di demarcazione tra le forze britanniche ed americane. Questi gruppi erano costituiti da contadini locali che pare abbiano teso più di un'imboscata a convogli di giubbe rosse. C'erano proprio due fazioni separate: gli "Skinner" hanno combattuto per il lato indipendentista, mentre i "Cowboy" hanno sostenuto gli Inglesi.
Ma non è il solo esempio in cui tale termine ha acquisito un'accezione negativa.
Nella zona di Tombstone attorno agli anni 80 del 1800, "cowboy" è stato usato in modo, per così dire, peggiorativo per descrivere una “misteriosa” banda di balordi che, noi ora lo sappiamo bene, erano implicati in vari crimini. Una cricca di furfanti più o meno organizzata soprannominata proprio "The Cowboys": traevano profitto dal contrabbando di bestiame, alcol e tabacco smerciati oltre il confine tra Stati Uniti e Messico. Ovviamente rapine ed omicidi non mancavano nel loro curriculum, con buona pace di chi, ancora adesso, ritiene che un certo Wyatt, uomo e non eroe, ne è consapevole anche chi vi parla, se la sia presa comunque troppo a cuore. Se per saldare qualche “conticino” personale, mister Earp ha stroncato la carriera a degli assassini per me la cosa non costituisce un problema. Che poi gli Earp non fossero cavalieri della Tavola Rotonda ed avessero anche loro qualche macchia sulla coscienza è un'altra questione, ma a Tombstone e dintorni, per quanto “civilizzata” potesse essere, con gelaterie o che so luna park (sto scherzando naturalmente, sui luna park), ci voleva qualcuno che mettesse un freno a chi considerava il nome della città un suggerimento (Tombstone significa pietra tombale).
L' "Examiner" di San Francisco scrisse in un editoriale: "I Cowboys sono il tipo più spericolato di fuorilegge in quel paese selvaggio... infinitamente peggiori dei comuni ladri."
Divenne perfino un insulto, in quelle zone, chiamare qualcuno con l'appellativo di “cowboy", poiché equivaleva a dargli bellamente del farabutto. Le “attività” dei Cowboys furono ridimensionate a partire dallo scontro all'O.K. Corral e dalle conseguenze che ne derivarono, vale a dire la faida con gli Earp e la già introdotta successiva famosa (e letterale) “Vendetta Ride”.
Anche questo sarebbe stato interessante reperirlo scritto da qualche parte nel Texone, ma come al solito avrebbe necessitato di impegno e lavoro. Forse il rischio di un tunnel carpale è un vero e proprio spauracchio per certi “autori”.
Come anticipato un paio di volte in articoli precedenti qui su “Osservatorio Tex”, ho potuto parlare con qualche esperto e storico specializzato o semplicemente interessato alla vita di Doc Holliday che mi ha confermato il profondo rapporto di amicizia tra lui e Wyatt.
E' anche vero, come mostrato nel Texone, nel mucchio qualcosa lo azzeccano, che Doc venne ferito lievemente ad un'anca durante i 30 secondi della sparatoria.
“Lui e il suo amico Earp trascorsero due settimane in cella prima dell'udienza che li scagionò...” mi ha scritto nel nostro scambio epistolare Ana Sitnina, che ringrazio per la sua pazienza e competenza e che, ho scoperto, è anche l'admin del gruppo social “Doc Holliday” nel quale ho potuto scambiare qualche opinione e ho trovato i proprietari della casa di Doc bambino ed adolescente, trasformata recentissimamente in un museo, dai quali sto aspettando in esclusiva le risposte, corredate da alcune immagini, all'intervista che ho preparato.
Ho altresì appreso che ci sono forti dubbi in merito al fatto che i resti di Doc si trovino sotto la pietra funebre “ufficiale” in Colorado e che esistono delle voci che lo vorrebbero invece sepolto in una fossa senza nome, mentre il “monumento” sarebbe una sorta di esca per preservare il reale sito. C'è perfino chi dice che il corpo, in qualche maniera, sia stato riportato a Griffith, Georgia, dove l'ex dentista era nato. Anche su questa informazione le versioni non si contano e la storia lascia il passo al mito.
Se siete dei viaggiatori e volete visitare per davvero i luoghi che esploriamo con la fantasia, non dovete perdervi i “Doc Holliday Days”, il weekend dopo il 4 Luglio, a Tombstone, dove si tengono celebrazioni, ricostruzioni storiche e gare di tiro, dal 2016. Beh, non quest'anno purtroppo, ma parlo in generale.
Kurt Russell è Wyatt Earp in "Tombstone". Ritratto di Lorenzo Barruscotto
Così come il personaggio di carta di Ringo corrisponde solo in percentuale al vero balordo, anche Big Nose Kate, la compagna di Doc, ha parecchie discrepanze che la dividono da quella vera.
Mary Katherine Elder Harony (nata come Mária Izabella Magdolna Harony, 9 novembre 1849 - 2 novembre 1940), nota anche come Kate dal naso grosso, era una prostituta di origine ungherese.
In una lettera del 1939 a sua nipote Lillian Rafferty, Kate affermò di essere stata nella zona di Tombstone con Holliday nei giorni precedenti la sparatoria. Secondo Kate, lei era con Holliday a Tucson nell'ottobre 1881 ed il 20 ottobre 1881, Morgan Earp andò a chiedere l'assistenza di Holliday nel trattare con i Cowboys che avevano minacciato di uccidere gli Earp. Scrisse inoltre che Doc le aveva chiesto di rimanere a Tucson per la sua sicurezza, ma lei rifiutò.
Kate ribadì nella lettera la sua permanenza insieme a Holliday presso la pensione di C.S. Fly, che costeggiava il vicolo dove si svolse lo scontro “all'O.K. Corral” descrivendo accuratamente i dettagli anche minimi del combattimento.
Aggiunse che il giorno della sparatoria, un uomo entrò nella pensione di Fly con la "testa bendata" ed un fucile. Stava cercando Holliday, che era ancora a letto dopo una notte di gioco.
Kate sottolinea che l'uomo, che venne allontanato dalla signora Fly, era Ike Clanton, il quale si era beccato una bella botta in testa da parte di Virgil Earp visto che portava un fucile ed una pistola in violazione delle ordinanze della città. Virgil lo aveva disarmato quello stesso giorno ed aveva inoltre detto ad Ike che avrebbe lasciato la ferraglia confiscata al Grand Hotel. In seguito Ike ha testimoniato di aver tentato di acquistare un nuovo revolver nel negozio di armi nella Forth Street, ma il proprietario era uno sveglio e vista la testa fasciata si era rifiutato di venderglielo. Clanton, pur comunque velenoso, era infatti disarmato al momento della sparatoria avvenuta più tardi quel pomeriggio.
Successivamente alla morte di Doc Holliday nel 1887, Kate sposò il fabbro irlandese George Cummings. Dopo aver lavorato in diversi campi minerari in tutto il Colorado, si trasferirono a Bisbee, in Arizona, dove gestirono per un breve periodo una panetteria. Dopo essere tornato a Willcox, Arizona, nella Cochise County, Cummings divenne un alcolista violento ed i due si separarono. Cummings si suicidò a Courtland, Arizona, nel 1915.
Kate è elencata nel censimento degli Stati Uniti del 1910 a Dos Cabezas, in Arizona, come membro della casa del minatore John J. Howard. Quando Howard morì nel 1930, Kate era l'esecutore testamentario della sua proprietà.
Nel 1931 l'ottantenne Kate contattò un amico di lunga data, il governatore dell'Arizona George Hunt, e fece domanda di ammissione alla “Casa dei Pionieri” dell'Arizona a Prescott. Era stata fondata nel 1910 dallo Stato dell'Arizona per i minatori poveri. Kate impiegò sei mesi per essere ammessa, poiché l'edificio aveva l'obbligo che i suoi residenti fossero tutti cittadini americani. Fu una delle prime donne residenti.
Kate scrisse molte altre lettere al legislatore statale dell'Arizona, contattando spesso il governatore.
Verso la fine della sua vita, diversi giornalisti hanno cercato di ricostruire la sua storia, il suo rapporto con Doc Holliday ed il suo periodo a Tombstone.
Nel volume a fumetti lo stesso celebre confronto all'Ok Corral viene rivisto in un'improbabile conversazione che Tex e Carson intrattengono proprio con Johnny Ringo.
A parte il fatto che non sarebbe costato molta fatica mettere i nomi dei banditi caduti nelle vignette che compongono le tavole in cui gli Earp e Doc si scambiano complimenti con i Cowboys, invece di far nominare ai coinvolti i bersagli come se dovessero essere sicuri di quelli a cui sparano (Billy Clanton, Frank e Tom MacLaury) c'è una traduzione veramente strampalata di una frase divenuta famosa quasi quanto la sparatoria stessa, pronunciata da Doc: “You're a daisy if you do!” La versione italiana “Se ci riesci, sei un fiorellino...” non si può proprio sentire e mi rifiuto di credere che lo sceneggiatore sia scivolato su questa immensa buccia di banana applicando una trasposizione letterale ad una frase che poteva avere molte, e molto più dignitose, corrispondenze in italiano.
Non ci credete? Vi invito a dare uno sguardo ad un altro articolo messo insieme dal sottoscritto, che si occupa proprio del linguaggio realmente parlato, slang compreso, nel West. Potreste rimanere stupiti: https://www.farwest.it/?p=28574 .
Se non vi convince che tale frase possa essere stata pronunciata dal vero Doc, queste sono realmente alcune sue parole, io mi limito a tradurle: “… i miei ricordi dell'Arizona non sono così brutti come li si sono voluti rappresentare. Tutto quello che voglio è essere lasciato in pace, non aspiro ad essere una persona cattiva.”
Dichiarazione fatta nel settembre del 1883 a Leadville, Colorado, ad un reporter del "Denver Tribune".
L'attore Thomas Haden Church interpreta Billy Clanton in "Tombstone".
Ritratto di Lorenzo Barruscotto
Le banane però non sono finite, ce ne sono talmente tante da mandare in overdose uno scimpanzè, poichè la stessa struttura del thriller che dovrebbe essere nascosto nel racconto scricchiola parecchio, innanzitutto poiché nessun lettore credo abbia mai pensato che il colpevole dei delitti su cui i Rangers indagano possa essere proprio Doc. Ma andando sul concreto volete sapere quando si capisce chi sia il vero malvagio? Esattamente a pagina 134, in corrispondenza di un flashback sotto forma di ricordo che tormenta Holliday. Certo, non si fanno nomi e non si vede il volto di nessuno, ma in ogni caso il nostro istinto non sbaglia e considerando che le pagine complessive sono 240, è un po' prestino per far soffocare del tutto il già flebile senso di pathos che l'investigazione aveva avuto fino a quel momento.
Anche perché non ci sono false piste, non ci sono altre possibilità, non ci sono scambi di opinione o inseguimenti degni di nota. C'è solo quel tizio che alla fine è l'imputato più “comodo”, nonchè utile per diventare il fulcro della narrazione, no, anzi, la nemesi negativa di Holliday. E visto che Doc non era comunque immacolato, vi lascio ponderare sull'attrattiva che lascia trasparire il personaggio.
Già la “bella” Kate è delineata come leggermente isterica, credendosi divertente o legittimata, in quanto portatrice di gonnella, a dire e fare quello che le pare senza soffermarsi mai sulle conseguenze, una specie di suffragetta ante litteram, per non parlare del suo aspetto che, probabilmente per una sorta di inconscia solidarietà femminile, diventa molto simile ad una Audrey Hepburn della Frontiera, differente dal vero viso meno angelico di cui l'ex ballerina era stata fornita dal Padreterno, in più c'è una specie di gemello malvagio praticamente uguale al gambler, ma senza baffi, che va in giro a torturare la gente (anche se si tratta di furfanti come i Cowboys) per far appioppare falsamente una sfilza di accuse sulla testa di Doc.
Ultima considerazione: il John Henry Holliday disegnato riprende sia in termini di corporatura e volto sia in quelli di "outfit", se fossimo in un film diremmo di costumi, cioè nel vestire, praticamente del tutto il personaggio portato sul grande schermo da Dennis Quaid in “Wyatt Earp” del 1994. Non credo sia un caso, molto più facile che si tratti di un tributo ad un'interpretazione piuttosto ben riuscita, superata solo dal Doc impersonato da Val Kilmer in "Tombstone" del 1993.
Inutile dire che nel solito articolo di presentazione anche se ci sono immagini o locandine di vecchi film, giusto per ammantarsi anche di un'aura da cinefilo, buco nell'acqua anche in questo caso, non sono affatto nominati quelli che contano nell'era moderna, inclusa la suddetta pellicola che invece avrebbe attinenza proprio con il Texone.
Visto che io sono un poveraccio, un signor nessuno, e devo aspettare settimane per avere una risposta, quando mi arriva, se offro un lavoro già completato, ma non sono solo un criticone che blatera soltanto al vento, ho voluto verificare fin dove i miei scarsi mezzi supportati da una forse meno scarsa cocciutaggine mi avrebbero portato anche stavolta. Dopo aver scritto al sindaco di Tombstone, avere realizzato interviste in giro per l'Europa ed anche direttamente dal cuore della Riserva Navajo ("Miss Navajo Nation": https://www.farwest.it/?p=29416 ), dopo aver mandato alcuni ritratti realizzati da me a Hollywood, Los Angeles, per aiutare un ospedale pediatrico, ho trovato il contatto per inviare direttamente proprio all'attore Dennis Quaid il suo di ritratto, quello che potete vedere in apertura di questo articolo, subito sotto il titolo.
Indovinate un po' ? Dall'altra parte del globo la risposta mi è arrivata: Teresa Morris, portavoce dell'attore presso il Fan Club di Mr Quaid e degli Sharks, la band di cui è il frontman, mi ha inviato una mail di apprezzamento per aver colto l'essenza del personaggio.
Sono anche riuscito, tramite social, a scrivere alla nipote dell'attore Thomas Haden Church che è stato Billy Clanton nel film “Tombstone”: è stato apprezzato il ritratto che ho realizzato del “fuorilegge” e mostrato proprio al diretto interessato. E' il disegno che trovate qualche riga più in su, prima di questo blocco.
Perchè vi ho detto questo? Beh, immaginate cosa si sarebbe potuto fare avendo alle spalle la Bonelli o magari essendo “solo” veramente appassionati o motivati lavorando per via Buonarroti…
Il terzo speciale di cui diciamo due parole è il ColorTex di Agosto 2019, intitolato “Un capestro per Kit Willer”.
E' stato ritenuto da tutti come l'albo “del ritorno di Claudio Nizzi” ma qualcosa non quadra. Mi sa che tutti si sono dimenticati che Nizzi aveva già firmato una storia qualche tempo fa, precisamente quella intitolata “Dal tramonto all'alba” nel ColorTex numero 12. Era una storia breve ma sempre storia di Tex si tratta.
Comunque sia, questo “ritorno” ufficiale ha riportato alla memoria lo stile che ha caratterizzato alcune fantastiche classiche avventure ideate dallo sceneggiatore e, per usare un parolone, questo volume costituisce una specie di “summa” di tutte le caratteristiche principali che si trovavano in quelle indagini e che sono diventate una sorta di marchio di fabbrica per i Rangers: i battibecchi in famiglia tra i Pards, che sono presenti tutti e quattro, i solidi argomenti che vengono discussi a suon di sganassoni nei confronti di teste dure che si credono più intelligenti di Aquila della Notte, un cattivo che è un bastardo dal cuore di pietra, del tutto irrispettoso della legge e della vita altrui, ironia, giustizia e parecchio piombo.
Manca solo la bistecca alta tre dita con contorno di patatine fumanti, soltanto nominata, ma in compenso c'è il caffè, del quale Carson è un riconosciuto artista, che riempie le tazze mentre i Nostri sono riuniti attorno al fuoco di un bivacco.
La trama quindi scorre piuttosto fluida. Il fatto è che ci sono più di un punto in cui ci sembra che sia qualcosa di già visto, indipendentemente dal fatto che qualche eretico sostenga che “il West alla fine è tutto uguale”. E credetemi, io ce l'ho in casa una di questi miscredenti, la mia fidanzata: per fortuna tiene fuori dal suo dogma per lo meno qualche film di John Wayne ed ha apprezzato la rivisitazione dei Magnifici Sette anche se ho dovuto pagare la tassa sull'averla portata al cinema per quella pellicola vedendo dei musical, film in cui si canta… si canta ogni dieci minuti!
Comunque...
Partiamo dal titolo: ancora prima di leggere il racconto ci sovviene un commento ironico. Certo che Kit deve stare proprio antipatico perché non è affatto la prima volta in cui rischia il collo in modo così plateale. Ai Texiani tornano alla mente il Texone “Sangue sul Colorado” disegnato da Milazzo su testi proprio di Nizzi ed anche la storia in cui muore il simpatico Bronco Lane (“Morte nella nebbia” e “Uccidete Kit Willer” di Boselli-Font).
E se il secondo albo di quell'avventura, complice anche la drammatica copertina ad opera di Villa, come quella movimentata e ricca di toni gialli del Color, con Piccolo Falco già pronto per il ballo della corda, definisce bene che rischi corra il figlio di Tex nonchè che saremo testimoni di una corsa contro il tempo per salvarlo, la vicenda dello speciale a colori rimette il giovane Ranger nella medesima situazione, con un preambolo che ripercorre piuttosto fedelmente l'antefatto del Texone ambientato in Colorado appena nominato: forse dovrei avvertirvi per lo spoiler ma sono passati mesi dalla pubblicazione. Kit è costretto a rispondere al fuoco di un bullo fuori di zucca che vuole farlo fuori e che invece ci rimette la pelle, viene accusato di omicidio e messo dietro le sbarre.
Eh sì, la scena l'abbiamo già vista.
Bisogna dire che non è solo il soggetto a suonarci familiare ma anche parti interne alla narrazione ci fanno risuonare in testa un vero concerto di campanellini (altro allarme spoiler): Tex e Carson che calmano a modo loro la suddetta folla di scalmanati spalleggiando lo sceriffo locale, che altrimenti si sarebbe trovato in una brutta situazione, e che sulle prime se ne vanno per poi tornare e risolvere l'intricata matassa. Dove abbiamo già vissuto simili momenti di tensione? Un esempio calzante è “Vendetta Navajo”, di Ticci ed ancora Nizzi.
A questo punto si potrebbe parlare di auto-citazioni e non ci sarebbe nulla di male, soprattutto visto che si tratta di una sorta di revival, una ripresa dopo anni di assenza, sempre nell'ottica di una specie di riassunto di alcuni clichè Texiani.
Però, c'è un però.
E stavolta, eccezione più unica che rara, sono i disegni a suscitare strani influssi nel lettore. L'autore è Rodolfo Torti, new entry dalle nostre parti ma ben noto ai seguaci di Martin Mystere per cui lavora dal 1993. Come sapete non capita praticamente mai che io muova una critica negativa al lato artistico di un albo, anzi, ammiro molto la capacità di tirare fuori dal foglio bianco delle figure inventate di sana pianta che prendono vita e "si muovono". La considero una magia.
Ritengo però lo stile troppo fumettistico e "fumettoso" non adatto alle atmosfere della Frontiera e questo è uno di quei casi. Se una volta i cattivi dovevano seguire la regola non scritta che li prevedeva anche brutti con facce che avrebbero spaventato il mostro di Loch Ness e dentoni ricurvi che avrebbero fatto la felicità del mio dentista, come accadeva nelle pagine de "Il Comandante Mark", farli diventare dei veri e propri quadri astratti con un occhio, fuori dall'orbita, che guarda a Torino e l'altro a Venezia, se fatto volutamente, non mi sembra la mossa più riuscita. Vi serve un esempio? Il balordo che vuole entrare nel territorio della Riserva con un carico di whisky di contrabbando e che viene fermato da Tex e Carson, rispuntando tra l'altro a sorpresa e diventando quindi il perno che collega la prima parte della vicenda a quella conclusiva, passando da macchietta ad escamotage narrativo, non rimane impresso per il suo fascino. Diciamo che è un tipo.
Carson in un disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a VILLA,
ricavato dalla vignetta ideata dal Maestro,
che già tempo fa aveva conquistato il curatore di "Osservatorio Tex".
Nella mano dell'artista si possono evidenziare influenze che fanno pensare ad altri disegnatori di Tex. Se si trattasse di una ricetta potremmo impostarla così: Ticci, senza dubbio un'ispirazione per molti professionisti, quanto basta, Filippucci in dosi abbondanti ed un po' di Fusco qua e là. Non sto parlando a vanvera. Si possono identificare singole vignette che rimandano ad altrettante storie disegnate in passato, vignette che ripropongono posture o proprio fotografie di momenti, riprese (più o meno bene, spesso in fretta) e rimaneggiate.
Non è la prima volta che succede, ce ne siamo già accorti in precedenza. Ad esempio gli albi “Il ricatto di Slade” e “Sotto assedio”, testi di Tito Faraci e disegni di Giovanni Brusco, anni fa avevano messo in moto le rotelline della nostra memoria proprio riguardo tale questione.
Prendiamo per esempio “Sotto assedio”: ci sono parecchi riferimenti ai maestri più noti ed ammirati. Una vignetta iniziale che ricorda, diciamo così, l'incipit proprio di “A Sud di Nogales”, a pagina 32 il sorridente Carson riprende con lo stile dell'autore una vignetta riprodotta da Villa, quella che vedete riproposta qui sopra, risalente alla famosa e splendida storia che inizia con “L'uomo senza passato”, stesso discorso per la vignetta che ritrae il Vecchio Cammello a pagina 42, sempre ispirata al Carson di Villa in “Nella terra degli Utes”, proprio come il ritratto precedente. Si va abbastanza "sul pesante" quando a pagina 44 viene inserita una vignetta che è esattamente uguale ad una disegnata da Ticci in “Sulle piste del Nord” (e seguenti), nella quale Tex originariamente grida di mettersi al riparo ai suoi Pards mentre qui dovrebbe dirlo a Capelli d'Argento, a pagina 69 una scena ispirata a Ticci, a pagina 95 il cattivo che viene colpito ha le stesse movenze di un cattivo di Villa nella summenzionata storia...
Nel volume “Il ricatto di Slade” invece gli elementi ispiratori compaiono perfino affiancati: a pagina 62 la vignetta a sinistra in basso è ripresa da Ticci mentre quella a destra da Villa (per quest'ultima, se ci fate caso, ad esempio si può rivedere il Tex che ne “L'uomo senza passato” dice alla cameriera che sta cercando di impedirgli di rincorrere Joe Galvez: “Ti dispiace mollarmi, bellezza?”).
Nella storia che precede quella di Nizzi nel ColorTex numero 12, “Abilene, Kansas”, ci sono disegni che ricordano apertamente a volte Ticci a volte Villa.
Gli stessi disegnatori se ne avvedono, può capitare, come accade quando vengono presentate in anteprima delle tavole con stili che, involontariamente per la maggior parte, richiamano visibili analogie stilistiche.
Tex in un disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo al "primo TICCI",
ricavato da una vignetta presa ad ispirazione per una storia successiva.
Fotografie da volumi acquistati: esempi di vignette che hanno ispirato sequenze in storie moderne,
ColorTex incluso (le due con i fucili).
Disegni originali di Ticci e Villa (il quarto a destra).
Il motivo di questo breve elenco? Presto spiegato.
Il medesimo parallelismo trova posto nel Color attuale, anche se con sfumature differenti, e non lo dico perché lo speciale è a colori. Innanzitutto un'ulteriore conferma delle auto-citazioni e del fatto che presumibilmente l'autore, anzi gli autori, si siano basati su personaggi datati è rappresentata dallo sceriffo. In questo caso si chiama Jim Baxter e presta servizio a Holbrook, ma la sua fisionomia e proprio nel complesso le sue fattezze riprendono piuttosto fedelmente quelle dello sceriffo conosciuto nella già citata storia “Vendetta Navajo”. Lì il paese è Sanders e lo sceriffo si chiama Walker, ma i baffoni, la pancia e la pelata sono gli stessi che si vedono bene nella scena in comune con la vicenda del volume odierno, quella che ho esposto poco fa. Sinceramente ignoro se sia un richiamo voluto inserito come una sorta di "easter eggs" del fumetto e mi fa anche piacere perché sono piccole caratteristiche che si possono confrontare tra appassionati, d'altra parte bisogna essere abbastanza ficcanaso ed avere un occhio allenato per identificare le somiglianze. Beh, diciamo alcune somiglianze, perché altre invece risultano palesi anche per chi non ha dimestichezza con le matite e non ha come hobby il disegno.
Lo sceriffo Walker, in un disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a TICCI.
Trattando nello specifico lo speciale, qualche accorgimento sembra non funzionare nel contesto generale, come i lunghi capelli biondi con arzigogolo finale che il bulletto ucciso da Kit sfoggia, simili ad una dei quelle parrucche che si vedono per esempio nella saga dei “Pirati dei Caraibi”, al pari degli arbusti che sono semplicemente rappresentati da cerchi concentrici stilizzati.
Dove il disegnatore offre il meglio di sé sono invece le visuali senza primi piani, come la vista d'insieme dell'interno del saloon dove avviene lo scontro tra Piccolo Falco ed il figlio del padreterno locale, davvero ben realizzata. I ritratti a distanza ravvicinata tradiscono probabilmente la "compattezza" dei tempi di realizzazione che, ci siamo resi conto, si sono molto accorciati rispetto a periodi passati, mista alla probabile tensione della prima volta che colpisce chiunque indipendentemente dall'esperienza accumulata quando ha a che fare con Tex Willer, espressa in nasi “alla Dante Alighieri”, spalle molto spioventi ed i già osservati occhi un po' bizzarri.
A pagina 37 e 39 si denota chiaramente l'influsso di Filippucci mentre a pagina 72, 83 ed 84 invece passiamo a Ticci. Siete dei San Tommaso e volete anche esempi più diretti come ho fatto prima? Vi servo subito: pagina 119, nella terza vignetta Carson sparando riprende una sua esatta posizione in “Giubbe rosse” e l'atteggiamento di Tex a pagina 126 ricorda molto un frangente identico nel Texone disegnato da Ticci “Il pueblo perduto”, nella sua corsa per gettarsi dietro una roccia con il volto coperto dal cappello. Ultimo: a pagina 137 Kit è ispirato con lo stile di Torti al più giovane se stesso sempre, non si scappa, in “Sulle piste del Nord”.
Non mi permetto di sminuire il lavoro di nessuno ma una storia realizzata riadattando insieme un vero e proprio puzzle o, fatemelo ripetere, collage di tributi ed immagini magari sommate da vari fumetti, non così lunga certo, però più breve, facciamo di anche "solo" quattro o cinque tavole non è così impossibile da mettere sulla carta. Non che non necessiti di tempo e lavoro, certamente.
A dire il vero qualcosa di simile lo avevo realizzato perfino io come prove tecniche, per così dire, delle quali il soggettista si era poi appropriato senza rispettare la mia volontà di non pubblicarlo. Ovviamente gratis. Può darsi che in futuro visto che non sembra essere una "cosa brutta" lo proporrò anch'io in questa Rubrica, a puro titolo divulgativo. Io non ho fatto scuole né lo faccio di mestiere, tutti i tributi che vedete qui sono gratuiti, realizzati per hobby, l'ho spiegato tempo fa, quindi essendo un divertimento posso svagarmi ed imparare riproducendo ritratti e disegni che mi hanno colpito per qualche caratteristica peculiare, quelli legati al Ranger non sono certo fonte di guadagno per il sottoscritto (veramente di tali fonti da queste parti ce ne sono meno ancora che nel Deserto Dipinto...) ma mi spingo a sostenere che un professionista che da decenni lavora per la Bonelli, o comunque per qualunque casa editrice, potrebbe ormai dare un'impronta personale ed intima alle opere, senza “farsi notare” in modo così netto, pur mantenendo come falsa riga ideale albi storici, cosa che è giusto fare per rimanere attinente alle atmosfere del Sud-Ovest specie se non si conoscono a menadito.
Però lo ri-ripeto, se si è un professionista a mio parere bisognerebbe ridurre le "riproduzioni copiat... - ehm- ispirate palesemente" ai minimi termini anche perchè non è che noi compriamo il volume con soldi fotocopiati nè il lavoro viene, credo, pagato in pacche sulle spalle e noccioline.
Perché se ci ho fatto caso io, che sono un “passante”, figuriamoci se gli addetti ai lavori non se ne sono accorti. Non che ci sia qualcosa di male, non sto sostenendo questo, può anche essere che in qualche intervista sia stato dichiaratamente affermato o che gli artisti che ho menzionato siano stati maestri ispiratori; io ho riportato ciò che ho visto, semplicemente, come cronista della Frontiera di carta.
In definitiva però non si può affermare che il ColorTex sia uno dei più riusciti della collana, né degli albi in toto nell'ultimo periodo.
Ci sono punti forti ed altri un po' più traballanti. Le sparatorie scorrono via abbastanza lisce con il susseguirsi dei lampi degli spari e del corrispettivo assottigliarsi delle fila dei nemici, i dialoghi sono, come già detto, di classico stampo Texiano e la storia non ha nulla di nuovo, ben presumendo già come andrà a finire, nonostante il tentativo di dare un ultimo scossone ai nervi dei lettori con quello che vorrebbe essere il colpo di scena finale.
Di contro sono proprio i colori a risultare puliti e coinvolgenti più delle chine, ma questo non dovrebbe stupire dal momento che sono stati affidati ad un esperto come Oscar Celestini, come al solito, per fortuna, una certezza.
Nessun errore, e non diamolo per scontato, neanche nel lettering da parte di Omar Tuis, bravo come sempre.
Disegno di Lorenzo Barruscotto, tributo a FILIPPUCCI.
Anche per stavolta siamo arrivati alla fine di questa disamina che mescola pareri personali a fatti oggettivi, come d'altra parte richiede una recensione.
L'impressione che ultimamente ci sia stato un calo nel rendimento parallelamente ad una specie di “fame d'aria”, nonostante ufficialmente non si imputi tutto ciò ad un forse eccesso di carne sul fuoco inizia a serpeggiare chiaramente tra i lettori e diventa man mano sempre più concreta rispetto ad un sordo brusio occasionale che si percepiva inizialmente.
Per conto mio credo invece che quello sia uno dei sintomi principali ma si andrebbe nuovamente a rimestare nel torbido, blaterando di quantità e di qualità. Speriamo, siamo un po' fiduciosi tanto per cambiare, che sia stato davvero solo un periodo (sebbene lunghetto) di transizione e che il Texone di Villa abbia segnato un ritorno all'eccellenza.
Sarebbe anche d'uopo, diciamolo un'ultima volta, prima della pubblicazione dare un occhio agli articoli o ai lavori che vengono affidati a nuove leve, uso questa espressione indipendentemente dall'età effettiva dei collaboratori, per distribuire scappellotti, insegnamenti oppure elogi realmente meritati (tutte e tre le cose), condizione che si può ristabilire solamente riacquistando maggiore ossigeno ed ore per farlo. In tal modo non si riscontrerebbero, o riscontreranno fate voi, errori madornali ed anche piccoli (non parlo solo di Tex ma anche in altre testate, come Dragonero per esempio, il cui primo numero del “nuovo corso” ha decine di pagine che ricordano per filo e per segno una sequenza centrale del film “Robin Hood - Principe dei Ladri” con Kevin Costner e che vede ancora un po' confuso l'autore dell'articolo comparso nel Texone, che per l'ex scout dell'impero è perfino il curatore) e non inciamperemmo in strane pubblicità (come quella in cui mi sono imbattuto su un volume della collana Tex Classic) alquanto, ed anche troppo, mirate in merito alla “sparuta pattuglia degli scrittori western italiani, esclusi naturalmente gli autori di fumetti”.
Già... strana pubblicità quella sul Tex Classic da parte di Graziano Frediani.
Posso concordare sulla “sparuta” ma neanche poi tanto visto che per esempio il sottoscritto ne ha pubblicati due, di libri, western naturalmente, intitolati “Shadow, la prima missione” e “Shadow, la scorta” che si possono reperire sui principali siti di distribuzione letteraria quali Amazon, Feltrinelli, Mondadori, IBS e Hoepli e le corrispettive piattaforme come Kindle e Kobo.
Un piccolo “Ma perchè?” ammetterete che viene da chiederselo: volendo fare un discorso ad ampio spettro ritengo che si debba restare sul generico senza andare a prendere singoli esempi a meno che non si tirino in ballo autori di fama mondiale, pertanto super partes, o titoli conosciuti da tutti come, che so, “L'ultimo dei Mohicani”. Altrimenti rimane giustificata l'uscita di un po' di fumo dalle orecchie.
Per di più avendo verificato in prima persona certi atteggiamenti “professionali” che invece sarebbero peculiari di una primadonna da parte di… Lasciamo stare.
Si potrebbe obiettare che magari quel libro specifico è stupendo ed altri invece fanno pena. Vero, ma non bisogna mai vendere la pelle dell'orso in anticipo o per restare sul pezzo non bisogna mai “giudicare un libro dalla copertina”. Anche perché, tralasciando qualche coincidenza di troppo di cui magari si parlerà in futuro, con tutto il rispetto, quello decantato chi lo conosce?
Vale anche per me, certo. Ed infatti è proprio ciò che voglio sostenere: se si vuole fare recensioni mirate è un altro discorso, allora tanto per dire si mette a disposizione un indirizzo email che gli “sparuti” autori possono contattare per presentare il proprio racconto, in modo trasparente e poi eventualmente si fa selezione. Per essere al di sopra di ogni sospetto.
Magari invece di riportare biografie diluite per sembrare maggiormente ricche, dove manca solo la pagella delle medie, rincarando la dose su quella diffidenza che inevitabilmente compare quando ci si imbatte in casi del genere, esaltando risultati, ottenuti in ogni caso anche da altri, e comparabili, presentandoli come tali da eclissare un nobel per la letteratura quando invece equivalgono a "Miss salciccia bagnata" di un paesino sperduto, sarebbe più intellettualmente onesto riportare delle scuse ufficiali per gli errori e, cosa che non solo sarebbe apprezzabile ma proprio ammirevole, aggiungere un errata corrige dove serve.
Ed abbiamo visto che in almeno un paio di occasioni servirebbe proprio, considerato la mastodonticità delle sviste. Invece silenzio di tomba, silenzio talmente assordante da far sembrare un cimitero la prima di un concerto rock estivo.
Ovviamente il tutto ben rimanendo con i piedi per terra e ricordando che si tratta “solo” di fumetti: non sono beni di prima necessità e neanche le reali preoccupazioni che non fanno dormire la notte. Quelle sono di ben altra caratura. Tabto più in certi periodi come quelli in cui viviamo adesso.
Forse alla fine non serve neanche alzare la manina per parlare né men che meno farsi il sangue cattivo: come abbiamo già detto, questo mondo è un vero Far West!
Hasta luego
A Sud di Nogales, formato 22,5 x 30 centimetri: Tex, romanzi a fumetti numero 10
Soggetto e sceneggiatura: Gianluigi Bonelli
Disegni e copertina: Giovanni Ticci
Colori: GFB Comics
80 pagine
Doc!
Soggetto e sceneggiatura: Mauro Boselli
Disegni e copertina: Laura Zuccheri
Lettering: Omar Tuis
240 pagine
Un capestro per Kit Willer
Soggetto e sceneggiatura: Claudio Nizzi
Disegni: Rodolfo Torti
Colori: Oscar Celestini
Copertina: Claudio Villa
Lettering: Omar Tuis
160 pagine