Fumetto d'Autore ISSN: 2037-6650
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Mazinga Z: Speciale 40 anni

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Disegni di Claudio Valenti, testo di Giorgio Messina tratto dal volume "Anime in Guerra" (Cagliostro E-Press, 2010), per gentile concessione dell'autore e dell'editore.

Mazinga Z è il primo robot gigante con pilota a bordo della storia dell’animazione giapponese. Nagai chiarisce fin dalle prime battute del primo episodio della serie (che ne conterà ben 92 alla fine, diventando la più longeva del genere) che Mazinga Z è un’arma a tutti gli effetti e ha scopi difensivi di tipo bellico, essendo dotata di diversi tipi di armi. Si alza l’età del protagonista. Kōji (nell’edizione italiana verrà ribattezzato con il nome di Ryo), il pilota di Mazinga, ha infatti circa 16 anni, tre/quattro se non sei/otto in più dei protagonisti principali di serie precedenti come Tetsujin 28-gō e Tetsuwan Atom. In Kōji è possibile riscontrare nel proseguire degli episodi una chiara e netta evoluzione psicologica che lo porterà a relazionarsi agli eventi bellici in cui è coinvolto, con una prospettiva sempre più matura di eroe moderno, un tipo di eroe nuovo in cui esiste una parte oscura che non viene nascosta al lettore ma che per senso del dovere, disciplina in battaglia e obiettivo da raggiungere non verrà mai ad avere il sopravvento sulla parte positiva volta alla ricerca del bene.

Nagai introduce diverse novità con Mazinga, che diventeranno delle vere e proprie regole fisse del genere robotico/bellico e che contribuiranno a costituire la cosiddetta “scuola ortodossa” del genere. Innanzitutto il mezzo da combattimento viene dotato di una base logistica per il ricovero, il rifornimento ed eventuali riparazioni, da spettatori ci imbattiamo così nell’Istituto di Ricerca per l’Energia Fotoatomica, che avrà anche altre due valenze, rappresentando sia il centro sociale di sviluppo delle dinamiche interpersonali tra i personaggi coinvolti, sia il principale centro della intelighenzia scientifica giapponese. È possibile notare come nella denominazione data alla base ritorna anche l’accenno all’atomo, ma l’aggettivo fotoatomico fa comprendere come stavolta l’intento della titpologia della ricerca non abbia un obiettivo distruttivo ma di mera ricerca scientifica volta ad usi pratici. D’altro canto la lega Z, misteriosa lega metallica di cui è composto il robot Mazinga, come viene detto più volte nella serie, è indistruttibile anche all’energia atomica.

La serie ha, poi, un antefatto di origine storica, singolare per il fatto di riallacciarsi anche a leggende mitologiche di origine classica, innovativo perché rielabora in modo molto originale alcuni elementi tipici della science fiction degli anni Trenta e Quaranta: tutti elementi questi che diventeranno uno dei cardini della scuola ortodossa.

Due importanti scienziati, il dottor Kabuto e il dottor Inferno (Doctor Hell), durante una spedizione archeologica presso l'isola di Rodi, ritrovano complessi e pericolosi manufatti meccanici appartenuti all'antica civiltà guerriera di Mikenes. Il dottor Inferno decide di sfruttare la scoperta per subdoli fini personali, tesi alla conquista del mondo. Il dottor Kabuto, compresa la malvagità del collega, prima riesce a sfuggirgli e poi costruisce un robot meccanico adatto ad affrontare gli automi dello scienziato criminale, utilizzando una lega di sua invenzione, il Japanium, con cui verrà creata la mirabolante lega Z, dotata di una resistenza incredibile e capace di potenziarsi se irradiata di energia fotoatomica. Inferno decide di eliminare l'unico ostacolo ai suoi piani di conquista e invia i suoi fedeli soldati, le Maschere di Ferro, ad assassinare Kabuto. Lo scienziato non riesce ad opporre resistenza ma, prima di morire, fa in tempo ad affidare al nipote Kōji, accorso troppo tardi in suo aiuto, il potente robot combattente Mazinga Z. Il giovane, entra a far parte del personale dell'Istituto per la Ricerca dell'Energia Fotoatomica, un laboratorio condotto dal professor Yumi, un collega ed allievo del nonno. Comincia così la lunga guerra fra le forze del bene e i terribili mostri meccanici inviati dal perfido scienziato.

Kōji, aiutato dalla bella Sayaka, la figlia del professore del laboratorio, e dal buffo Boss, imparerà a pilotare il robot e a impiegarlo efficacemente per sconfiggere i nemici. La vicenda, anche in Mazinga, si scatena attorno a degli scienziati che sembrano essere gli alfieri di una nuova società tecnocratica, metafora ben riuscita dello sviluppo giapponese degli anni Settanta, che ha nel comparto della tecnologia il genere di maggiore esportazione nel resto del mondo.

I ritrovamenti tecnologici sull’isola di Rodi, che suggerisce l’uso di un elemento narrativo di chiaro sapore esotico e mistico, sembrano essere l’allegoria di come il pericolo venga dal passato storico, in questo caso un passato molto lontano, e come per andare avanti, per essere parte del futuro, si debba sconfiggere il male del passato anche se si è costretti ad usare la forza, che trova però ampia giustificazione, soprattutto morale, nel fatto di essere contrapposta ad una forza malvagia e distruttirce.

Con Mazinga Z si afferma definitivamente una sorta di nippocentrismo. Il Giappone, da ora in poi, negli anime, non solo sarà la culla della conoscenza scientifica mondiale ma sarà anche il più importante obiettivo tattico da conquistare sul pianeta Terra, in una sorta di “Risiko” in cui chi conquista il paese del Sol Levante ha, di fatto, conquistato l’intero mondo.

Nonostante il Giappone del 1972 con i suoi prodotti di elettronica, con le moto e le macchine conquisti i mercati mondiali, sembra, invece, soffrire in realtà dell’isolamento a cui è in un certo senso costretto, sia per ragioni geografiche, sia per retaggio derivato dal protettorato americano che desiderava limitare al solo versante asiatico le attività di scambio culturale giapponese. Il nippocentrismo, probabile frutto di queste considerazioni e di un marcato e mai sopito spirito nazionale, diventerà così la reazione in risposta all’isolamento culturale e diplomatico di una intera nazione.

È esplicativo, in questo caso, realizzare un parallelismo con l’Italia del 1972. Nonostante anche l’Italia, come il Giappone, fosse stata sconfitta nel secondo conflitto mondiale, la nostra creatività fantastica e fantascientifica verrà imbrigliata nel dogma dell’impossibilità italiana di essere protagonisti della science fiction che si riassume nel famoso diktat di Fruttero e Lucentini, , curatori della collana di fantascienza Urania in quegli anni, che stabilirono che «I dischi volanti non possono atterrare a Lucca», decapitando in pratica la possibilità di un qualsiasi tentativo di italocentrismo (per usare un neologismo di gusto retrò e creare l’ipotetico contraltare al nippocentrismo) nelle produzioni letterarie di genere e limitando così lo sviluppo di queste tematiche in altri medium come l’animazione, che in Italia prenderà tutt’altra direzione rispetto alla produzione e ai temi trattati nell’industria del cartone animato del Sol Levante.

Torniamo a Mazinga Z. La foggia del robot, anche se ha forme antropomorfe, rimane tipicamente quella di una macchina. Ciò è dovuto anche al fatto che con Mazinga inizierà la stretta correlazione tra la produzione televisiva e cinematografica degli anime e la produzione dei giocattoli basati su di essi.

In diverse interviste, anche recenti, Gō Nagai stesso ci spiega come la forma finale del suo primo robot di successo sia stata influenzata dalle richieste delle case produttrici di giocattoli che già dalla fine degli anni Sessanta entrarono come sovvenzionatori esterni o addirittura come soci interni nelle maggiori case di produzione di anime. Se la colorazione dei componenti del busto, giocata su una alternanza cromatica tra il bianco e nero, sembra ricordare i colori dei mezzi da sbarco delle truppe giapponesi, che per agire nel Pacifico durante la notte usavano appunto questi colori, gli avambracci e le gambe, giocati su un marcato blu navy, sembrano non lasciare molti dubbi ad un preciso riferimento al colore dominante degli scafi dei sommergibili della marina imperiale giapponese. La guisa rotondeggiante del design del robot da battaglia sembra suggerire anche una ulteriore fonte di ispirazione derivata dal design di particolari mezzi bellici giapponesi impiegati nella Seconda Guerra Mondiale come ad esempio i sommergibili lancia idrovolanti pieghevoli di classe Sen Toku.

Mazinga stabilirà anche un altro paradigma della scuola ortodossa di genere, ovvero il concetto della macchina che fa funzionare la macchina. Kōji per pilotare il robot deve prima mettersi alla guida di un mezzo più piccolo, l’Hover Pilder, una sorta di piccolo aliante con eliche orizzontali che con una spettacolare sequenza si aggancerà al robot che un elevatore porta fuori da una piscina. Innestandosi così nella sua testa e diventandone la cabina di pilotaggio, l’Hover Pilder (in alcuni casi tradotto con un suggestivo “aliante slittante”) ne attiverà tutte le funzioni. Mazinga senza il Pilder, e quindi senza il pilota, è solamente un gigantesco automa senza vita alla mercè del nemico.

Il significato del nome del robot racchiude, poi, in se stesso, tutta l’essenza della macchina bellica. Il termine Mazinga deriva da Majin, una parola giapponese composta da due ideogrammi, di cui il primo, Ma, significa "demone", e il secondo, Jin, significa "dio". La parola Majin quindi può significare "dio-demonio" o anche "dio malvagio" ma spesso in giapponese, una parola composta da due ideogrammi dal significato diametralmente opposto, può voler indicare la duplicità dei significati per il medesimo soggetto. Nel caso in esame si può dire che il termine Majin voglia dire "un dio E un demonio" oppure "un dio O un demonio" ed è proprio questa l'accezione più corretta per il nome del super robot di Nagai. Sia nelle varie versioni del manga che nella versione animata, il dottor Juzo Kabuto, nonno di Kōji, quando consegna la sua invenzione al nipote, gli spiega che Mazinga Z può diventare un dio o un demonio, a seconda dell'uso che se ne farà. È possibile quindi interpretare il termine Mazinga con il concetto di "robot che può essere trasformato dal suo pilota in un dio o in un demonio".

Le macchine belliche, come è noto, sono macchine che assumono gli obiettivi e gli intenti di colui o coloro che le manovrano e Mazinga, per la prima volta nell’animazione giapponese, non fa differenza apparendo in tutto il suo essere pienamente una macchina da combattimento. Questo tema verrà ripreso successivamente da Nagai in altre opere diventando un tratto distintivo dell’autore nipponico. Anche i mostri meccanici del dottor Inferno rivelano dai nomi la loro natura di macchine da combattimento. Come è infatti prassi nell’industria bellica di dare degli acronimi come nomi delle armi e poi aggiungere un nome a indicarle, così anche i robot avversari sono chiamati con un nome, una lettera e un numero: Garada K7 e Doublas M2, solo per citare i due più famosi primi avversari di Mazinga Z. Ma ritorniamo a quest’ultimo. Come tutte le macchine belliche, anche su Mazinga sono installate una serie di armi offensive. Nonostante l’utilizzo delle armi sia praticamente illimitato e l’energia che alimenta il robot sembri praticamente inesauribile, nonostante a volte la lancetta sia sul rosso, colpisce l’associazione delle armi a delle vere e proprie chiamate vocali da parte del pilota. Verrà, infatti, spiegato nella serie che il pilota attiva le armi di Mazinga combinando i comandi vocali di utilizzo della singola arma azionando contemporaneamente il pulsante o la leva di pertinenza. Il famoso “Pugno a Razzo” (Rocket Punch) quindi non può essere azionato senza che il pilota ne gridi il nome e contemporaneamente prema il pulsante di attivazione.

L’utilizzo di questo sistema di fuoco, misto ai comandi vocali suggerisce anche l’introduzione di una sicura, in quanto il calcolatore centrale di Mazinga sembra riconoscere solo il timbro vocale del pilota. Ricalcando la tradizione samuraica in cui i singoli combattenti o anche gli eserciti che si fronteggiavano dichiaravano le loro intenzioni di battaglia e i loro colpi prima di effettuarli, questa scelta, molto enfatica, di sottolineare l’utilizzo delle armi durante i combattimenti, dona, inoltre, alla serie una certa spettacolarità e un realismo sino a quel momento solo sfiorato in serie antecedenti di ambientazione simile. Il pilota, inoltre, nonostante si trovi in una cabina di pilotaggio ben protetta posta in cima alla testa del mezzo meccanico antropomorfo, durante le battaglie sembrerà, con degli effetti scenici, condividere con Mazinga le sorti e le situazioni della battaglia. Così vedremo Kōji, il giovane pilota, soffrire in prima persona quando il robot è colpito o apparirci affaticato dopo una convulsa scena d’azione. Anche questa soluzione narrativa renderà spettacolare e particolarmente realistico il susseguirsi delle scene di azione e dei combattimenti contro altri automi giganti.

Un ulteriore elemento di realismo verrà donato allo svolgersi delle vicende belliche da alcune evoluzioni tecniche che saranno apportate a Mazinga durante lo svolgimento della serie. Per permettergli di volare, infatti, Mazinga verrà dotato di un modulo agganciabile radiocomandato, dotato di ali, razzi e ulteriori armi chiamato “Jet Scrander”.

Con il passare della puntate della serie, nonostante lo schema delle vicende belliche si ripeta con un nuovo avversario di turno, il livello di adattabilità dei nemici lanciati contro Mazinga aumenterà dopo ogni sconfitta e sarà quindi necessario dotare il mezzo robotico protagonista di nuove e più potenti armi per tenere testa al nemico di turno che si rivelerà, comunque sempre più difficile da affrontare e da sconfiggere.

Nella cultura Giapponese è molto radicato il concetto di sea power. Il Giappone è un isola e quindi nell’immaginario nipponico la minaccia arriverà sempre dal mare e il controllo del mare e delle coste riveste una ruolo di primaria importanza nella sicurezza nazionale. In Mazinga il concetto di sea power viene amplificato. Diverrà quasi una costante della serie, ma anche delle successive, che l’attacco dei mostri del dottor Inferno venga sempre dal mare e che il mare sia l’elemento in cui il robot protagonista mostri tutti i suoi limiti nel combattimento.

Mazinga si troverà ad ogni puntata ad affrontare un avversario meccanico diverso, ma sempre di aspetto minaccioso e chiaramente individuabile come “nemico”, non sempre antropomorfo e praticamente sempre manovrato da una non ben specificata intelligenza artificiale installata al suo interno. In alcune puntate della serie sembrerà quasi che i mezzi meccanici avversari siano addirittura teleguidati da dei calcolatori presenti sull’isola artificiale che funge da base del dottor Inferno.

L’assenza di un antagonista umano a manovrare il robot avversario sembra sottolineare, con la presenza di un solo protagonista che ricopre il ruolo di effettivo pilota umano, come sia appunto l’elemento umano la variabile in grado di fare pendere dalla parte di Mazinga e del personale dell’Istituto per la Ricerca dell’Energia Fotoatomica l’esito della guerra contro il dottor Inferno e i suoi luogotenenti, il Barone Ashura e il Conte Blocken.

Il Barone Ashura è il braccio destro del dottor Inferno, praticamente il suo capo di stato maggiore. È un essere ermafrodita a cui Inferno ha dato la vita unendo due mezze mummie ritrovate durante le sue esplorazioni fra le rovine dell'impero di Mikenes sull’isola di Rodi. I due corpi, una metà maschile e una metà femminile, appartenevano a una coppia di nobili sposi di Mikenes: il dottore riesce ad unirli in un unico essere e dargli vita, per farne il suo luogotenente e servitore. Il Barone Ashura, perfettamente diviso a metà fra le due parti, alterna spesso le due personalità che racchiude, parlando con tono a volte maschile e a volte femminile e realizzando un curioso effetto scenico. Ashura, comandante delle truppe militari dello scienziato, le Maschere di Ferro, svilupperà una forte rivalità con l'altro luogotenente di battaglia, il Conte Blocken. Tale rivalità è incoraggiata dal dottor Inferno il quale ritiene che la competizione fra i due non può che giocare a favore della sua causa.

Il Barone Ashura guida la battaglia dalla fortezza sottomarina Budo prima e dalla fortezza Salus poi e verso la fine della serie, stanco dei continui fallimenti, decide di prendere in mano il suo destino e affrontare Mazinga a viso aperto in una battaglia decisiva. Disposto a tutto pur di uscire vincitore, si getta in un attacco suicida a bordo del suo sottomarino contro il robot di Kōji, perdendo però la vita in questo ultimo tragico scontro. Ashura, benchè più volte sbeffeggiato da Blocken e dallo stesso dottor Inferno, verrà rimpianto amaramente e la sua memoria verrà celebrata con tutti gli onori.

Il Conte Blocken, ex ufficiale nazista, ferito gravemente in guerra, viene salvato in extremis in sala operatoria dal dottor Inferno. Lo scienziato dona al soldato un corpo meccanico facendo in modo però che la testa resti separabile dal corpo. Alla guida del corpo degli Elmetti di Ferro, contrapposti alle Maschere di Ferro di Ashura, diventerà un fedele alleato di Inferno e un acerrimo nemico di Mazinga Z, nonchè rivale di Ashura. Troverà la morte alla fine della serie, per mano dello stesso Mazinga Z. Con il personaggio del Conte Blocken continua così la presa di distanza del Giappone dall’ex alleato nazista già iniziata nel decennio precedente da Tezuka.

Negli anni Setanta i nazisti della Seconda Guerra Mondiale verranno considerati a livello mondiale l’incarnazione del nemico occulto per eccellenza. La milizia privata del dottor Inferno, le Maschere di Ferro, hanno invece tratti di milizia proveniente dal mondo classico, greco e latino, sono rappresentate in alcuni episodi come degli umanoidi, in altri invece come degli androidi. Le Maschere di Ferro sono state trovate dal dottor Inferno tra le rovine di Mikenes.

L’antica civiltà di Mikenes rappresenterà, fin dall’inizio e soprattutto nella parte finale della serie, la giustificazione tecnologica della potenza bellica del dottor Inferno.

Risvegliatisi dopo un sonno millenario, a serie inoltrata, la razza di automi guerrieri, senzienti e giganti di Mikenes diventeranno nella parte conclusiva della serie il vero avversario di Mazinga Z. Alla fine della serie, dopo che Mazinga e il suo pilota avranno difeso ripetutamente l’Istituto per la Ricerca dell’Energia Fotoatomica e tutto il Giappone (e quindi consequenzialmente tutto il mondo), affrontando tutte le difficoltà di una guerra di logoramento e di posizione, vi sarà una inversione del piano tattico di Kōji. Il protagonista, in accordo con il motto «Si vis pacem, para bellum», infatti, deciderà di passare al contrattacco, non aspettando più di respingere la minaccia del momento, ma diventando esso stesso minaccia e spostando quindi il conflitto direttamente al cuore della base logistica del dottor Inferno, che verrà infine sconfitto dopo essere stato indebolito dagli stessi Mikenes redivivi che puntano a riconquistare i fasti imperialistici della loro storia passata.

I Mikenes, provenienti da un oscuro e bellicoso passato, rappresentano l’ascesa agli estremi, ormai anacronistica, soprattutto alla luce dell’illusione dei movimenti del 1968 che auspicavano la pace globale e il multiculturalismo. Il rinato impero di Mikenes riuscirà nell’ultimo episodio della serie a distruggere sia Mazinga Z che l’Istituto per la Ricerca dell’Energia Fotoatomica, ma con l’apparizione di un nuovo Grande Mazinga e della Fortezza delle Scienze e di un nuovo scienziato, il professor Kenzo Kabuto, misterioso padre di Kōji, si riuscirà ad evitare la definitiva capitolazione del Giappone. Una nuova generazione e un Mazinga ancora più potente sono già pronti per ereditare l’eterna lotta per la pace.

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