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Corto, D'Annunzio, Guillet e quei Gentiluomini di Fortuna
di Adriano Monti-Buzzetti
Mai esordire con una “non” informazione” del tipo: “non” è successo nulla, “non” è una novità, eccetera. E’ una regola aurea che non manca mai nei manualetti di giornalismo a buon mercato, e che pure devo disattendere principiando da questa banale ma doverosa premessa: “non” ho conosciuto personalmente Hugo Pratt, figurarsi poi se potrei millantare una qualche forma di amicizia intrattenuta con lui, e che pure ovviamente – al di là dell’abissale distanza anagrafica – mi avrebbe onorato. Mi si scuserà dunque se in tutta umiltà mi accosto alla querelle sui (presunti) cromosomi politici di Corto Maltese offrendo non già dissertazioni filologiche di gran conio o ricordi personali, ma solo qualche considerazione senza pretese, riflessioni da appassionato estimatore di Corto come ce ne sono tanti (a Destra come a Sinistra: spero che su questo almeno si sia tutti d’accordo). Non ho la vocazione del “pompiere” ma la speranza, quella sì, di sostenere conclusioni condivisibili un po’ da tutti.
Personalmente credo che il problema si annidi tutto nell’italianissimo vezzo di confinare gli spazi vitali di un eroe letterario – anche se di letteratura “disegnata”, secondo la ben nota definizione di Pratt – nelle riserve indiane delle ideologie o, peggio ancora, dei partiti. E’ vero che in “Favola di Venezia” Corto prende a calci nel basso ventre i bulletti col fez della “Serenissima”, ma è altrettanto vero che in quella stessa storia il nostro mostra grande rispetto ed ammirazione per Gabriele D’Annunzio, personaggio che la vulgata nazionale appiattisce in un orizzonte “di Destra” e che però, proprio come il figlio vagabondo della Niña de Gibraltar, rifugge ostinatamente da categorie troppo definite. Per carità: l’uomo, i suoi ideali e la sua estetica possono piacere o meno, ma credo che sarebbe davvero un’inaccettabile forzatura blindare il poeta-soldato nel cliché del miope reazionario, o peggio, del fascista tout court. Basta rileggersi i passi della Carta del Carnaro (“griffati” da D’Annunzio ma materialmente redatti dal ghost writer Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario) che parlano di voto alle donne, libertà di divorzio, sindacati, libero amore e quant’altro per rendersi conto di quanto poco l’estro di un simile visionario avesse da spartire a sua volta con le adunate in orbace, il salto del cerchio in fiamme alla Starace ed altra paccottiglia dittatorial-circense. Ancora una cosa su D’Annunzio: tanti lo ricordano nelle vesti di ardito, di combattente, di alfiere dell’irredentismo ecc. ecc., insomma tutto intriso di virtù guerriere e valori nazionali, ma pochi invece rammentano che nella sua breve esperienza di parlamentare disertò quasi subito la Destra in favore della Sinistra, cambiando anche fisicamente posto - in modo plateale da par suo - tra i banchi dell’emiciclo in pieno svolgimento di seduta, e chiosando il tutto con la celebre frase: “Vado verso la vita!”.
Tutto questo solo per ribadire che personaggi tanto complessi non si lasciano ingabbiare facilmente. Al di là della provocazione intellettuale - così, fino a prova del contrario, mi piace interpretarla - di un’etichetta-slogan sul poster di un convegno, a mio parere Corto e lo stesso Pratt non sono e non saranno mai compiutamente nè di Destra nè di Sinistra, non “camerati” ma di certo neanche “compagni”. Semplicemente incorporano nel loro vissuto elementi che possono di volta in volta strizzare l’occhio da lontano all’uno o all’altro di questi territori, senza peraltro acquisirne formale cittadinanza (e soprattutto rifiutandone le degenerazioni, gli aspetti deteriori di faziosità e violenza che a ben guardare non mancano in entrambi gli universi). Un esempio a casaccio: lo spirito libertario di Pratt (e qui il contatore geyger segna convenzionalmente “Sinistra”) non gli impediva a mio avviso di subire in modo sottile e quasi inconscio le suggestioni del mondo militare (attenzione, l’asticella si sta spostando su “Destra”!), del suo codice d’onore e più in generale di un sistema assiologico che è tutto fuorché anarcoide. Non c’è bisogno di scomodare i remoti e magari un po’ scomodi trascorsi repubblichini dell’autore veneziano per provarlo: basterebbe guardare con quanta partecipazione e lirismo Pratt - che pure, forse per smarcarsi sentimentalmente, a fine storia mette in bocca a Corto un asciutto “gli eroi di carriera mi lasciano del tutto indifferente” – tratteggi il cavalleresco anacronismo e la tragica, solitaria fine del Barone Rosso in Côte de Nuits e rose di Piccardia.
Fin qui la storia dell’anima, a parer mio: reale nel caso di Pratt, novellata in quello di Corto, comunque intricata e fatta anche di fecondi contrasti. Il resto sono semplificazioni che inventiamo noi, e che servono solo a provocare qua e là qualche sterile crisi di coscienza. Magari, che so, anche all’imberbe leoncavallino che si ritrovi a vivere con segreto imbarazzo ideologico l’ardente passione per le opere di J.R.R. Tolkien, altro autore lasciato a lungo nell’ombra di un’etichetta politica che ne ha in qualche modo “compresso” l’universalità.
I grandi rifiutano i fanatismi, questo è certo, ma per il resto restano fascinosamente inclassificabili: proprio come una sorta di coperta a patchwork vivente, si cuciono addosso suggestioni e ispirazioni colte dai campi più diversi, senza curarsi di chiacchiere da comari e men che mai di tessere di partito. Corto, il Gentiluomo di Fortuna per antonomasia, stringe amicizia od ostenta affabilità verso persone che in qualche modo riconosce suoi simili e sodali, membri della stessa segreta consorteria di pirateschi sognatori, di romantici cultori del bello e dell’effimero, di irriducibili difensori di cause perse e per questo “perdenti” anch’essi, nel senso più nobile e donchisciottesco del termine. Personaggi che recitano “per un pubblico invisibile”, come dice Pratt in una delle sue storie, e che nel proprio girovagare per il mondo si riconoscono a vista l’un l’altro al di là delle bandiere, della razza e o dello status sociale. Che si tratti di D’Annunzio, del dancalo Cush, di folli carismatici come il barone Ungern von Sternberg o di sanguinosi e affascinanti gaglioffi come il grande amico Rasputin, poco importa. Allo stesso modo – e qui tento anch’io la mia piccola eresia, parlando ovviamente di rose non colte - mi piace pensare che sia Corto che lo stesso Pratt avrebbero apprezzato un’avventura insieme ad Amedeo Guillet, il celebre “Lawrence d’Arabia” italiano, grande connazionale mancato di recente ormai ultracentenario. Ufficiale di cavalleria pluridecorato, aristocratico, combattente coraggiosissimo e leale, esempio della migliore Italia in armi ed apprezzato a tutto campo: dai sovrani yemeniti che lo fecero alto dignitario di corte ai ribelli eritrei che lo seguivano in battaglia sfidando la morte, fino agli stessi avversari inglesi che a lungo egli tenne in scacco in Africa, in un succedersi di colpi di scena al limite del romanzesco. Ai tempi della Guerra civile spagnola lo troviamo in un campo opposto rispetto a quello in cui Corto Maltese milita presumibilmente per l’ultima volta, eppure lasciatemi le mie convinzioni: i due si sarebbero piaciuti. Uomo di destra, il Guillet? Sì, ovviamente, ma non certo quella dei manganelli, dell’olio di ricino e delle leggi razziali. Prima dei termini vengono i valori, e le persone che le incarnano. Per cui dico: ben venga l’esortazione all’unicuique suum, nel percorso di Pratt/Corto come in altri. Ciascuno se ne coltivi il ricordo come crede, ovviamente senza forzature e facendo attenzione a non confondere i percorsi dei Gentiluomini di Fortuna con quelli di noi gente comune. Noi, che nella nostra prosaica e affaticata esperienza del mondo prima o poi con i compromessi di questa o quella scelta di campo dobbiamo pure impantanarci, se non altro quando ci mettiamo in fila per andare a votare. Loro, i Gentiluomini di Fortuna, no. Anzi, a tirarli troppo per la giacchetta c’è il rischio che anche gli ultimi, sparuti rappresentanti della categoria decidano di dare l’addio definitivo a questo inospitale piano dell’esistenza, andandosene “per sempre in posti bellissimi e in altre storie”.
Questo articolo prende spunto dalla polemica correlata all'incontro "Camerata Corto". La rassegna stampa dedicata potete trovarla QUI.