- Categoria: Editoriali
- Scritto da Super User
- Visite: 9193
L'Editoriale » Chi non ricorda il passato, è destinato alla rovina
di Alessandro Bottero
[23/04/2010] » Bella frase, eh? L’avesse scritta Brecht, o anche Canetti, sicuramente sarebbe considerata un aforisma colto e pieno di stile. Comunque è vera, anche se non l’hanno scritta loro. Chi non ricorda il proprio passato è destinato alla rovina, perché lascia evaporare tutta la ricchezza che nel passato si trova. Questo fatto accade anche nel mondo del fumetto. Tempo fa scrissi un altro editoriale, denunciando quella che a mio parere era la non considerazione da parte del mondo del fumetto (compresi i lettori) per le ristampe di prodotti d’annata. In parole povere: non vendono una sega. Luigi Siviero mi replicò, in un commento a quell’editoriale, dicendo che invece, a parer suo, nell’attuale panorama a fumetti sono presenti, e anche con un certo successo, prodotti d’annata. Ok, opinioni diverse. No problem. Il punto è che esistono millemila opere prodotte nel nostro passato, e che stentano a trovare spazio per essere riproposte ai nuovi lettori. E questo già sarebbe un bel problemone. Ma c’è di più, e il recente annuncio della Q Press del volume Un fascio di bombe esprime molto chiaramente questo fatto. Esiste, storicamente, tutta una produzione a fumetti, pubblicata al di fuori delle serie da edicola, dalle serie da libreria, o anche come volumi unici in libreria. Si tratta delle storie/albi/volumi prodotti a scopo promozionale, o politico, o pubblicitario, o anche solo semplicemente per commemorare un evento X, e quindi prodotto e distribuito gratuitamente, in occasione dell’evento X. Prendiamo il caso del volume Q Press. Un fascio di bombe fu prodotto dal Partito Socialista Italiano come opuscolo di propaganda politica in occasione delle elezioni politiche del 1975. Ne furono distribuite, così si ricorda, circa 600.000 copie gratuite come fossero volantini, ossia mediante una distribuzione quasi porta a porta, come si fa tuttora. Domanda: ma voi conservate i volantini elettorali? No, vero? Li buttate. E probabilmente così fu per la quasi totalità di Un fascio di bombe. Considerato non fumetto, ma opuscolo di propaganda politica, passò inosservato, tanto che le bibliografie ufficiali di Manara lo trascurano, e anche l’ultima opera uscita dedicata alla strage di Piazza Fontana a Milano, pubblicata da Becco Giallo, non la cita nei materiali critici, probabilmente perché non se ne ignorava l’esistenza. Fortunatamente una copia era nella collezione di Giuseppe Peruzzo, l’editore della Q Press, e quindi questa ristampa è stata possibile. Onore all’iniziativa, ma quanti sono gli altri albi/volumi/storie che non hanno viaggiato per i consueti canali distributivi, e quindi potrebbero correre il rischio di essere svaniti per sempre? Penso molti. Penso che a partire dal secondo dopoguerra, si potrebbero ritrovare tutta una serie di prodotti storicamente indispensabili, per capire il percorso del fumetto e dell’editoria a fumetti italiana. Ed usando una chiave di lettura diacronica, piuttosto che cronologica, quanti sono, in questo preciso momento ossia marzo 2010, i prodotti a fumetti distribuiti al di fuori dei circuiti canonici edicola/fumetteria/libreria, ed ignorati da critica e pubblico?
Il problema allora è: è esistita, ed esiste, tutta una produzione a fumetti, che vive al di fuori dei canoni consueti distributivi, e corre il rischio di svanire nel nulla. Chi può impedire che questo accada? Per spiegarmi meglio, chi può impedire che la memoria della loro esistenza, svanisca nel nulla? Non possono essere i singoli, per quanto meritori come Giuseppe Peruzzo e la sua Q Press, a risolvere il problema. Né può bastare l’opera immensa dell’ANAFI, che compie da anni uno sforzo titanico di ricostruzione della memoria storia del fumetto italiano. Questo è un compito che spetta in primo luogo alle istituzioni che pongono come motivazione principale della loro esistenza la cultura, ossia, diciamolo, al Museo del Fumetto di Lucca. In tutto il mondo università e musei si danno da fare per tenere in vita una pubblicistica di alto spessore culturale, ed ovviamente rivolta ad esperti e specialisti. Perché in Italia il Museo del Fumetto di Lucca dovrebbe fare eccezione? Una ricerca storica che definisca finalmente, per quanto possibile, l’esistenza di tutti i prodotti di cui abbiamo parlato finora, e di cui Un fascio di bombe è l’esempio perfetto, non è una cosa di cui si possa fare a meno. E un istituzione che voglia sostenere il fumetto italiano, deve principalmente fare l’impossibile, perché non si perda la memoria di tutto quello che è successo. Voglio essere chiaro: quanti soldi sono destinati nel budget annuo del Museo del Fumetto di Lucca, alla produzione di testi storici e critici? Quanti soldi sono impegnati nella produzione di strumenti critici, sotto forma di volumi, saggi, articoli, miscellanee, ecc…, così che chi voglia consultare tali strumenti abbia a disposizione dei dati concreti cartacei? I dati online infatti sono molto comodi, ma accanto ad essi una istituzione autorevole deve sempre avere il corrispettivo cartaceo (che oltretutto è accessibile anche in caso di mancanza di corrente…meditate gente, meditate…)
Una produzione di 6/8 volumi all’anno, ognuno sulle 120 pagine, può costare, usando il sistema di print on demand, e quindi modulando le tirature sulle 200/300 copie a volume, diciamo un 10.000 euro l’anno di stampa. Se permettete preferirei che il Museo del Fumetto di Lucca spendesse i soldi del suo budget annuo in queste cose, e non in altre. Ovviamente i testi, come accade per tutte le riviste accademiche o di prestigio, non sono retribuiti, e gli autori li cedono a titolo gratuito. Vi può sembrare strano, ma è così. Le riviste prestigiose, che costano tanto, escono una o due volte l’anno, e non vendono nulla, se non per abbonamento, non pagano chi ci scrive. Chi scrive lo fa per il prestigio che ne deriva, e non scassa. Perché una collana di saggi accademici sul fumetto e sulla sua storia, pubblicata dal Museo del Fumetto di Lucca, dovrebbe fare diversamente da come fanno migliaia di altre riviste, anche più famose, in tutto il mondo? Quindi: solo costi di stampa, niente costi di produzione, un minimo di spesa per la grafica, e con un budget davvero minimo si potrebbero quantomeno realizzare tutta una serie di volumi storico-critici. Li leggeranno in pochi? E allora? Perlomeno esisteranno. Perlomeno la prossima volta che uno vorrà esaminare la bibliografia di Manara, potrebbe usare uno strumento autorevole e corretto.
Chi non ricorda il passato è destinato alla rovina, ma la responsabilità è anche di chi, avendone la possibilità, ha ritenuto non interessante, o non economicamente proficuo, tenere in vita la memoria del passato.